venerdì 14 maggio 2010

MATERIE PRIME COSMETICHE: I COLORANTI

Materie prime nei cosmetici



L’utilizzo dei coloranti in cosmetologia risponde a svariati biettivi e non è legato esclusivamente ai prodotti da makeup. I coloranti possono essere utilizzati per mascherare delle colorazioni sgradevoli, derivanti ad esempio dall’utilizzo di estratti
vegetali, oppure per differenziare prodotti simili,ma dotati di diverse proprietà, facilitandone il riconoscimento.Tuttavia il marketing ci ha insegnato che il colore dei prodotti è uno degli elementi che influenza maggiormente il processo di acquisto
da parte dei consumatori e questo fenomeno si spinge ben oltre il packaging, soprattutto nella nostra società, così attenta ai dettagli sensoriali dei prodotti. Pertanto i coloranti sono in grado di esaltare le caratteristiche dei cosmetici, al pari dei profumi e della texture, e rappresentano uno strumento fondamentale di vendita, al quale i produttori e i distributori devono rivolgere un’attenzione sempre maggiore. Le industrie che lavorano nel
settore dei coloranti devono rispondere a delle richieste sempre più complesse ed articolate da parte dei produttori di cosmetici, dovendo studiare separatamente due livelli di utilizzo delle risorse cromatiche, riferite al prodotto e alla confezione.
Se si considera il prodotto, i problemi principali riguardano l’uniformità di colore tra lotti differenti e le variazioni cromatiche nel tempo. Per quel che riguarda invece l’imballaggio, bisogna assicurarsi una certa uniformità di colore sui diversi materiali che costituiscono i contenitori primari e secondari: non
è sempre facile riuscire ad ottenere esattamente lo stesso colore sul vetro, sul metallo, sulla plastica e sul cartone, materiali che caratterizzano le confezioni sempre più elaborate dei nuovi cosmetici. Questa difficoltà dipende principalmente dal fatto che il concetto di superficie va oltre il semplice colore
e fa riferimento non solo alla dimensione cromatica dell’oggetto, ma anche alle sue caratteristiche microstrutturali, che influenzano direttamente i processi di assorbimento e riflessione della luce. Basti pensare all’effetto ottico che si ottiene applicando la stessa tonalità di rosso alla carrozzeria lucida di
un’autovettura piuttosto che ad una tenda di velluto.
La stessa difficoltà si riscontra quando si vuole ottenere il medesimo effetto cromatico in forme cosmetiche diverse di una stessa linea (emulsioni, saponi solidi, shampoo...). I colori, sulle persone, non esercitano soltanto degli effetti ottici e percettivi,
ma anche psicologici, attraverso una serie di complessi meccanismi semantici che traslano dal piano genetico a quello socio-culturale. E’ risaputo, infatti, che i colori possono provocare diverse sensazioni, dall’euforia alla depressione, attraversando la scala completa delle emozioni. L’effetto psicologico più frequente legato alla percezione dei colori è
la sensazione “caldo-freddo” che viene associata rispettivamente alle diverse sfumature del rosso e del blu. Le dinamiche cromatiche sono in grado di modificare i nostri stati d’animo: ad esempio un blu associato ad un porpora può determinare una sensazione di solitudine e tristezza, mentre lo stesso porpora in un contesto giallo brillante evoca un senso di solennità. Il verde accostato al giallo richiama sentimenti di paura, mentre assume un carattere distensivo se avvicinato ad un blu pallido.
Questi sono solo alcuni esempi che testimoniano la complessità delle scienze che studiano l’utilizzo dei colori, come la cromatologia e i suoi campi di applicazione.

La teoria dei colori
La luce visibile dall’occhio umano ricopre una porzione ben determinata dello spettro elettromagnetico, che va da 400 a 750 nm di lunghezza d’onda, delimitando una regione compresa tra i
raggi ultravioletti (< 400 nm) e infrarossi (750-3000nm). Grazie alle scoperte di Newton, oggi sappiamo che un fascio di luce bianca che attraversa un prisma di vetro si scompone in una serie di raggi luminosi che vanno dal viola al rosso. Tuttavia, se si
vuole ricostituire il fascio di luce bianca originario, sono sufficienti tre colori: rosso, giallo e blu (colori fondamentali). Verso la fine del 1800 il medico e fisico inglese Young elaborò la teoria dei “tre colori primari”, secondo cui i tre colori fondamentali, combinati tra loro, sono in grado di determinare la visione dell’intero spettro. Partendo da queste osservazioni, Young ipotizzò l’esistenza di tre recettori diversi, appartenenti a tre classi di cellule a forma di cono (denominate coni), in grado di percepire i tre colori primari. La caratterizzazione biochimica dei tre fotocettori, avvenuta nel 1964, costituì la prova sperimentale della teoria di Young. La quantità di luce assorbita da ciascuna classe di coni viene tradotta in un impulso elettrico che, attraverso i nervi retinici, raggiunge il cervello, dove viene convertito nella sensazione finale che consente il riconoscimento del colore. Dal mescolamento dei tre colori primari si ottengono i “colori secondari”: il rosso e il giallo creano l’arancione, il giallo e il blu il verde, il rosso e il blu il viola. L’occhioumano non è in grado di distinguere se il colore percepito deriva da una sola radiazione monocromatica o dalla somma di più radiazioni. In generale
gli oggetti appaiono colorati a seconda del modo con cui essi interagiscono con la luce, in quanto la luce bianca può essere completamente riflessa (l’oggetto appare bianco), oppure completamente assorbita (l’oggetto risulta nero). In tutti gli altri
casi di riflessione o assorbimento parziale, il colore dell’oggetto dipende dalla sommatoria dei raggi restituiti. Il colore degli oggetti dipende anche dalle caratteristiche della luce, basta pensare alle variazioni cromatiche che si rilevano osservando uno
stesso oggetto illuminato da diverse fonti luminose (luce solare, ultravioletto, infrarosso...). L’industria del makeup deve prestare grande attenzione a questi fenomeni, per evitare le spiacevoli sorprese che si possono verificare utilizzando lo stesso prodotto di giorno all’aperto e di notte nei locali. Un altro fattore da tenere in grande considerazione è la visione foveale, che dipende dal fatto che nella retina la distribuzione dei recettori non è uniforme, pertanto lo stesso colore distribuito su superfici di diversa dimensione può risultare diverso. Per questo motivo,
la sensazione di colore di un’emulsione osservata in un miscelatore industriale può essere diversa da quella osservata in un piccolo contenitore.

La misurazione dei colori
Se si considera la concomitanza di tutti questi fenomeni, si capisce che chi elabora i coloranti deve conoscere a fondo le tecniche di misurazione dei colori. I parametri utilizzati per definire i colori sono: la luminosità, che indica la brillantezza e dipende dall’intensità del flusso luminoso, la tonalità, che descrive il colore e dipende dalla purezza della luce monocromatica dominante, e la saturazione, che si riferisce all’intensità del colore. Queste grandezze possono essere graficamente rappresentate nel Solido di Munsell, che assomiglia ad una sfera schiacciata ai poli in cui l’asse rappresenta la scala
di luminosità (dal nero al bianco procedendo verso l’alto), l’equatore la tonalità e il raggio è proporzionale alla saturazione. Per la misurazione dei colori esistono dei metodi matematici come lo Spazio C.I.E., che deriva da un progetto di ricerca realizzato nel 1931 dalla Commission International de l’Eclairage (CIE), che per la prima volta ha fissato dei valori numerici per quantificare la media delle risposte dell’occhio umano alle diverse lunghezze.
Questo metodo è piuttosto complesso ed utilizza le coordinate cartesiane attraverso dei principi di colorimetria additiva, basati sul calcolo di quanto colore primario deve essere aggiunto per raggiungere un determinato campione di colore. Uno dei problemi del diagramma CIE è che a uguali distanze geometriche non corrispondono uguali distante percettive, fenomeno che si traduce nella mancanza di uniformità del diagramma. Le moderne tecniche strumentali utilizzano gli spettrocolorimetri, che rilevano i colori effettuando delle scansioni dell’intero spettro visibile, oppure analizzano la luce in seguito al passaggio attraverso dei filtri colorati. I dati ottenuti sono espressi utilizzando i valori dello spettro di assorbimento o di trasmittanza, oppure nelle coordinate CIE. Il tintometro è uno strumento che utilizza la scala Lovibond, che si basa su una serie accuratamente calibrata di filtri di colore rosso, giallo e blu nelle varie sfumature dal pallido allo scuro: abbinando i vari filtri è possibile trovare la corrispondenza cromatica per tutti i campioni, valore che verrà espresso in termini di unità Lovibond.
La scala cromatica Lovibond è ampiamente utilizzata per i prodotti che trasmettono la luce (oli, sciroppi) o la riflettono (grassi, colle).

I coloranti nei cosmetici:
classificazioni e legislazione
Esistono diverse classificazioni dei coloranti, anche se la più comune fa riferimento alla loro solubilità e li suddivide in:
coloranti solubili: a loro volta divisi in naturali o sintetici, idrosolubili o liposolubili;
pigmenti: che possono essere inorganici, organici, lacche, perle e metalli.
I coloranti solubili sono molto usati nell’industria cosmetica ed alimentare (emulsioni, lozioni, shampoo, dentifrici) e sono aratterizzati da una buona solubilità che consente loro di impartire una colorazione visibile a piccole concentrazioni. I coloranti naturali sono i più antichi, possono essere ricavati
da fonti vegetali o animali e, pur essendo meno performanti dei derivati di sintesi, negli ultimi tempi sono tornati in auge. I coloranti sintetici sono più stabili ed economici e presentano un’ampia varietà di tonalità. I pigmenti agiscono modificando
i processi di riflessione della luce, sono insolubili nel mezzo utilizzato e possono essere dispersi in un solido o sospesi in un liquido, nella composizione di fondotinta, ciprie, ombretti, rossetti... A seconda della fonte di derivazione, i pigmenti si
dividono in:
inorganici: si tratta delle sostanze colorate più
utilizzate nel makeup, sono ottenuti per sintesi e
risultano stabili alla luce e al calore. Tra i principali
pigmenti appartenenti a questa categoria ricordiamo
il biossido di titanio, gli ossidi di ferro e di cromo,
il violetto di manganese, il ferrocianuro ferrico (noto
come Blu di Prussia);
organici: sono prodotti di sintesi che offrono
delle tonalità più luminose e sature rispetto ai pigmenti
inorganici, anche se le varietà cromatiche
sono limitate. Tra i pigmenti organici, il Nero Fumo
è molto utilizzato nei mascara;
lacche: sono dei pigmenti insolubili ottenuti
per precipitazione di un colorante solubile su un particolare substrato (idrossido di alluminio, oppure calcio o bario)
e lacche sono stabili e presentano dei
colori particolarmente brillanti;
perle: si tratta di cristalli in forma di sottili scaglie
che presentano elevato indice di rifrazione, e sono
in grado di determinare il tipico effetto perlescente.
Possono essere organiche (ricavate dalle squame di
alcuni pesci) o inorganiche (estratte da alcuni minerali
o prodotte per sintesi);
metalli: sono costituiti da particelle di metallo
(alluminio, rame, bronzo) ricoperte o meno da un sottile
strato di alluminio o silice. Sono molto apprezzati
per la brillantezza dell’effetto metallico, conseguenza
dell’elevato potere riflettente.
I coloranti agiscono assorbendo la radiazione luminosa in corrispondenza di una determinata lunghezza d’onda, in questo modo l’occhio umano percepisce il colore complementare alla lunghezza d’onda assorbita. La porzione molecolare del colorante che ne determina il colore è definita cromoforo. Inoltre esistono dei gruppi funzionali che, se inseriti nelle vicinanze del cromoforo, sono in grado di determinare uno spostamento della lunghezza d’onda assorbita, in alto o in basso nello spettro visibile (effetto auxotrofico o batocromico).
Analizzando la parte restante della molecola di colorante,
si osservano altri gruppi funzionali responsabili delle sue proprietà chimico-fisiche, come il pH e lasolubilità, fondamentali per garantire la durata nel tempo del colorante ed evitare l’interazione con altri ingredienti della formulazione. La perdita e la diminuzione del colore possono essere determinati dall’azione
della luce solare, del calore, dei microorganismi. Da un punto di vista chimico, a seconda dei cromofori, è possibile suddividere i coloranti in nitro-derivati, azoici, stilbenici, carotenoidi, trifenil-metanici, xantenici, chinolonici, antrachinonici, indigoidi, porfinirinici.I coloranti possiedono diversi nomi, chimici e comuni,
riferiti al colore, alla struttura chimica, alle caratteristiche
chimico-fisiche, per questo esiste un sistema di denominazione unificata che va sotto il nome di Colour Index (CI), pubblicato congiuntamente da Society of Dyers and Colourists (UK) e dalla American Association of Texile Chemists and Colorists (USA). Il
testo riporta circa 13.000 coloranti indicati attraverso un numero univoco composto da 5 cifre più una che indica se si tratta di sale o di lacca.

A seconda del CI, i coloranti sono suddivisi in 4 gruppi:
dal n° 10.000 al n° 74.999: coloranti organici di sintesi;
dal n° 75.000 al n° 75.999: coloranti organici naturali;
dal n° 76.000 al n° 76.999: basi a ossidazione e nitrocoloranti;
dal n° 77.000 al n° 77.999: pigmenti inorganici;

Esiste poi un sistema americano, abbastanza utilizzato in cosmetologia, che suddivide i coloranti a seconda del tipo di impiego:
FD&C: coloranti per uso alimentare, cosmetico e farmaceutico;
D&C: coloranti permessi soltanto nei farmaci e nei cosmetici;
Ext.D&C: coloranti permessi soltanto nei farmaci ad uso esterno e nei cosmetici, ad esclusione delle labbra e delle mucose.
Secondo questa classificazione, i coloranti sono contraddistinti da una di queste tre sigle, seguita dal colore in inglese e da un numero progressivo,ad esempio D&C Blue n° 4. I coloranti alimentari utilizzati nei paesi UE sono indicati da una sigla
comprendente la lettera E (caratteristica per tutti gli additivi alimentari) seguita da un numero compreso tra 100 e 199. Da un punto di vista legislativo, l’utilizzo dei coloranti è regolamentato dalla legge 713 del 1986 e dai successivi aggiornamenti. I coloranti che possono essere utilizzati in cosmetologia sono riportati nella parte seconda dell’allegato IV, che a sua volta identifica quattro possibili campi di applicazione per ogni colorante:

coloranti autorizzati per tutti i prodotti cosmetici;
coloranti autorizzati per tutti i prodotti cosmetici, eccettuati quelli destinati ad essere applicati vicino agli occhi ed in particolare i prodotti per il trucco e lo strucco degli occhi;
coloranti autorizzati esclusivamente per i prodotti cosmetici che non sono destinati a venire a contatto con le mucose;
coloranti autorizzati esclusivamente per i prodotti cosmetici destinati a venire solo brevemente a contatto con la pelle.
Da un punto di vista formulativo è preferibile utilizzare i coloranti nella fase esterna delle emulsioni, dopo averne verificata la compatibilità con gli altri ingredienti (soprattutto con i profumi e i conservanti) e la stabilità nelle condizioni di pH del prodotto finito. In alcuni casi è bene aggiungere degli antiossidanti che proteggano i coloranti da eventuali processi di degradazione ossidativa.
Considerando che i coloranti sono presenti in commercio in condizioni di concentrazione elevata, generalmente è necessario effettuare delle diluizioni poco tempo prima dell’uso. Le analisi dei coloranti si basano principalmente su tre parametri: il contenuto in colorante, la forza di colore e le impurezze.
Raramente un colorante è puro al 100%, in quanto contiene diversi tipi di impurezze, che nel caso dei coloranti di sintesi consistono in sali inorganici, acqua o intermedi di reazione, mentre nel caso dei coloranti naturali si tratta di altre sostanze estratte insieme al colorante e presenti nel materiale di partenza (cere, grassi...). Il contenuto in colorante può essere determinato per titolazione, per via ponderale o attraverso l’utilizzo di metodi strumentali spettrofotometrici. La forza di colore definisce il colore complessivo del prodotto, dovuto sia al colorante principale sia alle impurezze presenti, che possono essere a loro volta dei coloranti. La forza di colore può essere misurata
mediante tecniche manuali, che prevedono il confronto del campione con determinati standard, o strumentali, ad esempio attraverso il colorimetro.
La forza di colore ed il contenuto di colorante sono collegati tra loro, ma non necessariamente proporzionali. Per concludere, i coloranti rappresentano degli ingredienti fondamentali per l’industria alimentare, cosmetica e farmaceutica.

DETERSIONE EQUILIBRATA

I prodotti cosmetici sono a tutti gli effetti strumenti di “manutenzione ordinaria” per la pelle e i suoi annessi. La detersione è l’azione cosmetica di “manutenzione” principale: quotidiano atto igienico e necessità sociale,diventa talvolta un modo per rilassarsi e scaricare fatica fisica e stress psicologico, o viceversa per ricaricarsi di energie.
Il verbo detergere deriva dal latino e letteralmente significa “togliere via sudiciume o sostanza nociva”.Il sudiciume, presente sulla pelle e sui capelli, è costituito dai detriti tissutali, dalle stesse cellule cornee in distacco, dalle secrezioni (sebacea e sudorale), cui si ingloba, in misura più o meno rilevante, lo sporco derivante dall’ambiente che ci circonda(fi gura 1).
Detergere è anche atto igienico, non a caso è anche il primo strumento di deodorazione corporea. Sulla pelle vive infatti una popolazione eterogenea di batterie miceti: alcuni “utili” cioè la fl ora saprofita, altri che si possono considerare “parassiti quiescenti”…pronti a proliferare a scapito dell’ospite, quando le sue difese chimiche,strutturali o funzionali risultano carenti.
Nel paziente atopico, per esempio, sia a livello della cute sana come nelle aree interessate dall’atopia, è evidente un’intensa colonizzazione da parte delloStaphylococcus aureus e da miceti, Pitirosporum ovalis in particolare. Contrariamente a quanto si riteneva in passato, la detersione è indispensabile anche in caso di dermatite atopica. Se scarsa e saltuaria, infatti, la carica microbica può aumentare dando via libera alle infezioni.
In linea generale, la natura chimica lipofila dello sporco è tale per cui la sola acqua, anche calda, non è sufficiente per rimuoverlo in maniera efficace.

Da qui la necessità, praticamente antica come la civiltà umana, almeno per quanto riguarda stoviglie e capi di abbigliamento e forse solo più tardi per la pelle e i capelli,di aggiungere all’acqua qualche particolare sostanza per renderla più affine allo sporco e pertanto molto più efficace come detergente.
I comuni detergenti, saponi compresi, sono basati su sostanze tensioattive. Come suggerisce il nome, si tratta di sostanze in grado di agire sulla tensione superficiale(fi gura 2), nel caso dei tensioattivi detergenti la tensione tra sporco (a carattere lipofilo) e acqua (idrofila) e anche tra sporco e substrato (pelle, capelli).
Caratteristiche dei tensioattivi I tensioattivi agiscono sulla tensione superficiale o interfacciale. Questa capacità è legata alla loro natura anfifilica: la loro struttura chimica è caratterizzata da una porzione idrofila, cioè affine all’acqua, e da una lipofila, affine agli oli.
La classificazione più diffusa delle sostanze tensioattive è fatta sulla base della tendenza della parte polare a ionizzarsi in acqua e ad assumere quindi una carica .


Il concetto di detersione equilibrata è piuttosto recente e nasce essenzialmente per un concorso di situazioni. In primo luogo, ci si lava molto più spesso che in passato:
solo 40/50 anni fa il rituale bagno/doccia aveva cadenza settimanale, al massimo ogni 3-4 giorni. Oggi molto spesso la doccia quotidiana è un’abitudine “consacrata” quale sia la stagione.
Questa frequenza comporta un contatto altrettanto frequente con i tensioattivi e soprattutto, per fretta o scarsa consapevolezza, con i loro residui sulla pelle.
Il risciacquo accurato è infatti pratica molto poco comune, spesso causa di secchezza cronica della pelle, non a caso più pronunciata a livello degli arti inferiori.
Secondariamente, si sono evidenziati in modo sempre più sintomatico, talvolta patologico, gli effetti negativi della detersione poco rispettosa dell’ecosistema pelle .
Risulta evidente, ma è opportuno sottolinearlo, che la detersione
per essere “equilibrata” deve, il più possibile, rispettare i parametri e le caratteristiche cutanee.
Per realizzarla, le formulazioni cosmetiche sono attentamente
studiate sia in merito agli ingredienti principali, i tensioattivi, ma anche in relazione a ingredienti funzionali e additivi necessari.
Ingredienti funzionali
Sia la pelle sana sia quella affetta da patologia traggono benefici
dall’impiego di un detergente equilibrato.
Il tempo di contatto con il prodotto, molto breve, e la concentrazione di sostanze funzionali contenute nel cosmetico, molto ridotta per effetto della diluizione, sono tali da suggerire come gli ingredienti più importanti siano quelli che si oppongono all’eccessiva azione sgrassante, cioè ai cosiddetti surgrassanti.
I più diffusi surgrassanti sono sostanze lipidiche, meglio se di derivazione vegetale e ricchi di acidi grassi polinsaturi (linoleico, linolenico).
Nella tabella III sono elencati alcuni oli vegetali impiegati in formulazioni per pelli delicate e sensibili e con tendenza atopica, con indicazione del contenuto in acidi grassi polinsaturi.
Per questi lipidi vegetali all’azione idratante si accompagna quella emolliente, protettiva e riequilibrante.
Altri oli, molto diffusi, sono l’olio di germe di grano, di mandorle dolci, di crusca di riso. Quest’ultimo off re l’ulteriore vantaggio di apportare altre sostanze benefiche ( acido ferulico, tocoferoli, tocotrienoli) che contribuiscono all’azione protettiva e riducono i fenomeni infi ammatori superfi ciali.
Nella dermatite atopica come nella psoriasi, l’utilizzo di detergenti equilibrati in associazione ai trattamenti farmacologici è consigliabile per idratare la cute e, in particolare nella psoriasi, facilitare l’eliminazione delle squame. In particolare poi, è utile l’impiego di ingredienti in grado di attenuare l’intenso prurito che caratterizza entrambe le patologie.
Anche in presenza di acne l’utilizzo di un detergente mild è indispensabile per non aggredire la pelle già fragile e infiammata.
Le sostanze funzionali maggiormente impiegate nei detergenti delicati specifici appartengono alle seguenti categorie:
idratanti, perché ancora una volta l’idratazione favorisce l’equilibrio cutaneo e attenua il prurito (trealosio, trimetilglicina, polioli);
lenitivi, che riducono gli arrossamenti e i fenomeni irritativi (derivati
dell’acido glicirretico, allantoina, estratti di malva, camomilla, ecc).
Molto spesso la sede più interessata dalla psoriasi è il cuoio capelluto:
le conseguenze estetiche sono evidenti e disturbano non poco i rapporti interpersonali degli individui che ne soffrono.
Con la tendenza a debordare dall’attaccatura dei capelli, la psoriasi si rende visibile. Inoltre la continua desquamazione provoca un imbiancarsi dei vestiti.
Anche in questo caso l’uso di uno shampoo standard è assolutamente sconsigliato; viceversa è opportuno selezionare uno shampoo molto delicato, avendo anche l’accortezza di usarlo per pulire i capelli, evitando di frizionarlo sul cuoio capelluto.
A differenza di dermatite atopica e psoriasi, l’ittiosi interessa solitamente tutto il corpo. La pelle appare con zone ruvide e desquamate, ma la secchezza è generalizzata. Anche in questo caso la detersione equilibrata, come i successivi trattamenti che devono essere fortemente idratanti, ha lo scopo di rimuovere lo sporco e controllare la flora con il minimo impatto negativo sull’ecosistema pelle. Soprattutto deve evitare il più possibile di seccare ulteriormente la pelle, viceversa apportare lipidi
emollienti, ancora una volta per evitare di esacerbare il prurito,
caratteristico e intenso anche per questa patologia dermatologica.
Bagni, o docce brevi, con acqua tiepida e prodotti detergenti
adeguati e impiegati nelle opportune diluizioni, chiaramente indicate sulla confezione del prodotto cosmetico
Quali additivi sono necessari?
Superflui i coloranti e le composizione profumate, si deve sempre aggiungere una sostanza tamponante del pH per realizzare formulazioni che, al momento dell’uso quindi della diluizione, abbiano un valore di pH molto vicino a quello epidermico.
Tipico ingrediente, l’acido lattico.
I tensioattivi possono avere odore leggermente sgradevole, tale da richiedere una copertura.
Si può ricorrere a singole molecole odorose (per esempio, acido p-anisico) o profumi creati ad hoc, per esempio esenti dai
maggiori allergeni (cumarine, limonene, ecc) e da impiegare a bassa percentuale.
Stiamo sempre e comunque parlando di cosmetici: non possiamo pensare di lavarci con qualcosa che “puzza”…anche se il problema cutaneo può essere serio.
A parte i detergenti per i soggetti con acne, caratterizzati da una spiccata azione batteriostatica/battericida, i conservanti
sono, ancora una volta, un “male necessario”, si sceglie il minore (dei mali) e si dosa attentamente. Clorexidina, acido undecilenico, oppure molecole o strategie preservanti alternative: glicerina a elevata concentrazione, etilesil-glicerina, caprilil glicole o estratti vegetali con azione anti-batterica (estratto di corteccia di pino
finlandese, oli essenziali).

Detersione per affinità
Alcuni prodotti detergenti sono formulati secondo il concetto di “detersione per affinità”.
Dato che lo sporco è lipofi lo, si studiano formulazioni a carattere grasso, appunto affini allo sporco, che possono essere strutturate per l’impiego con acqua o meno.
Ne sono esempi oli e latti detergenti e gli oli da bagno non schiumogeni.
Gli oli detergenti in genere hanno, come ingrediente principale, olio di vaselina o lipidi sintetici (esteri grassi, alcoli grassi), addizionati di oli più pregiati come quelli vegetali da oliva, mandorle dolci, germe di grano.
Diffuso anche l’impiego di idrocarburi vegetali come lo squalene. Naturalmente presente nel secreto delle ghiandole sebacee umane, è un agente protettore dell’epidermide. È infatti in grado di integrarsi nello strato corneo, rinforzando l’equilibrio strutturale del film lipidico necessario per la funzione barriera.
Quando l’olio detergente è formulato per l’impiego con acqua, vengono aggiunte minime percentuali di tensioattivi emulsionanti che, al momento dell’uso, permettono di ottenere con l’acqua un’emulsione lattescente che deterge con estrema delicatezza.
I latti detergenti sono strutturati come emulsioni, cioè sistemi bifasici (olio + acqua), omogenei grazie all’impiego di tensioattivi emulsionanti.
Entrambe le fasi dell’emulsione, unitamente all’emulsionante, in percentuale più significativa che in una “tradizionale” emulsione di trattamento, collaborano alla rimozione delicata dello sporco e di quanto in esso inglobato, senza necessità di risciacquo con acqua.

Il contorno occhi Protezione e trucco

Gli occhi, da molti considerati come “lo specchio dell’anima”, sono degli strumenti straordinari, il cui significato va ben oltre il senso della vista. Oltre l’80% delle informazioni che riceviamo dal mondo esterno entra in noi attraverso queste sofisticate strutture, in grado di rispondere a più di un milione di messaggi contemporaneamente. Gli occhi rappresentano sicuramente la zona più espressiva e comunicativa del viso, nonché la porta di comunicazione tra il mondo interno e quello esterno, motivo per cui il trucco degli occhi ha assunto, nel tempo, i significati più svariati.
La zona perioculare, intesa come l’area che si trova attorno agli occhi, deve essere tenuta in grande considerazione, per prevenire o ridurre la formazione delle piccole rughe, dei gonfiori o delle occhiaie. Rispetto alle altre regioni del viso, la cute perioculare appare più sottile (0.3 mm, mentre nelle altre zone supera il millimetro) e caratterizzata da un numero minore di follicoli piliferi, di ghiandole sudoripare e sebacee.Attorno agli occhi, inoltre, il grasso sottocutaneo è presente in quantità inferiore, così come le fibre collagene ed elastiche (contenute a livello della matrice dermica), e la circolazione sanguigna e linfatica risulta rallentata. Tutte queste particolarità rendono la cute perioculare meno idratata ed elastica, più permeabile e sensibile, e più suscettibile al ristagno di sangue e liquidi interstiziali. Le palpebre sono formate da pieghe di tessuto cutaneo e sono fondamentali per proteggere e mantenere pulito il bulbo oculare. Si tratta di strutture molto sottili e caratterizzate da un’elevata elasticità che le rende particolarmente estensibili, ma anche suscettibili ai fenomeni di invecchiamento. A livello delle palpebre il tessuto adiposo si raccoglie in alcune tasche (3 nella palpebra inferiore, 2 in quella superiore) separate tra loro da tessuto connettivo che, col passare del tempo, tende a rilassarsi, generando dei caratteristici rigonfiamenti, particolarmente evidenti nelle cosiddette “borse sottoorbitarie”. Il gonfiore palpebrale risulta particolarmente evidente in condizioni di stress o di intensa lettura. Il movimento della pelle intorno agli occhi è regolato da oltre ventimuscoli il cui ruolo è fondamentale per assicurare le espressioni del volto (oltre 10.000 movimenti ogni giorno), ma è anche determinante nei processi di formazione
delle rughe, soprattutto per quel che riguarda le cosiddette “zampe di gallina”. Le occhiaie sono
causate del rallentamento della microcircolazione venosa e linfatica, che determina un ristagno di sangue e liquidi e conferisce a questa zona il tipico colore bruno tendente al blu, reso ancora più evidente dalla pelle particolarmente sottile di queste zone. Da anni, ormai, l’industria cosmetica mette a disposizione dei consumatori linee di make up e prodotti sempre più specifici per il contorno occhi, regione particolarmente delicata e suscettibile a reazioni di sensibilizzazione e a piccole irritazioni conseguenti all’applicazione di quantità eccessive di trucco o all’inquinamento
microbico presente in alcuni cosmetici che non sono stati conservati bene.
Cosmetici funzionali
La pelle della zona perioculare deve essere antenuta idratata ed elastica attraverso l’utilizzo di prodotti altamente nutrienti, poco grassi ed in grado di svolgere un’azione emolliente, rigenerante, defaticante, ossigenante ed antiradicalica. Le formulazioni più apprezzate sono le emulsioni leggere, i gel e i sieri. La zona perioculare richiede l’utilizzo di cosmetici particolarmente selezionati, a partire proprio dalla sicurezza degli ingredienti e dalla tecnologia delle formule, che deve assicurare un pH compatibile con quello lacrimale . Gli ingredienti utilizzati nei prodotti per il contorno occhi sono numerosi: idratanti ed elasticizzanti (acido ialuronico), nutrienti ed emollienti (burro di karitè, squalano vegetale, olio di germe di grano), protettivi (vitamine), lenitivi (allantoina, estratto di eufrasia, bisabololo), protettivi del microcircolo (estratto di centella). Altri ingredienti molto importanti sono i filtri solari, fondamentali per prevenire i danni da fotoinvecchiamento. I detergenti usati per struccare gli occhi possono essere formulati come gel, latti, lozioni o impregnati in dischetti di ovatta. Presentano basso grado di acidità per non irritare le congiuntive che rivestono l’occhio e contengono delle sostanze in grado di sciogliere delicatamente ombretti, eyeliner, matite, mascara pur mantenendo una corretta idratazione. Questi detergenti sono inoltre arricchiti con bisabololo (derivato della camomilla) ad azione lenitiva. Il latte detergente deve presentare una bassa viscosità, per non costringere a strofinare gli occhi energicamente, provocando gonfiore palpebrale e rischiando di far penetrare il mascara nell’occhio. Le occhiaie non sono sempre la conseguenza di qualche patologia o di cattive abitudini, ma spesso dipendono da fattori ereditari. Generalmente le occhiaie risultano più visibili in caso di stanchezza, anemia, in corrispondenza
del periodo mestruale e negli ultimi tre mesi di gravidanza. I prodotti specifici per il trattamento delle occhiaie agiscono limitando il ristagno di liquidi, rinforzando le pareti dei vasi sanguigni e riducendo la fragilità capillare; tra gli ingredienti principali ricordiamo l’arnica e il rusco, contenenti sostanze ad attività venotonica. Le creme a base di equiseto e camomilla, ad azione tonificante e lenitiva, sono molto utilizzate nel trattamento delle “borse”, mentre l’enoxolone, che presenta un’azione rinfrescante e disarrossante è usato nei prodotti anti-fatica. La posizione sdraiata, ad esempio durante il sonno, favorisce la formazione di edema periorbitale che generalmente si riassorbe in buona parte al risveglio con la posizione eretta, anche se in presenza di allergia, il gonfiore palpebrale si può accentuare. Con l’avanzare dell’età, invece, si osserva una riduzione dell’apporto di ossigeno ed un rallentamento del metabolismo cellulare, che contribuiscono a complicare la situazione, rendendo più evidente e marcato il gonfiore periorbitale. Gli occhi gonfi manifestano una riduzione del nutrimento cellulare, in quanto l’edema aumenta lo spazio tra i capillari sanguigni e le cellule cutanee: questo meccanismo innesca un circolo vizioso che porta ad un invecchiamento precoce della zona interessata. Per questo è bene utilizzare dei prodotti che favoriscano la microcircolazione perioculare. I principali ingredienti indicati nel trattamento dei gonfiori sono calendula, fiordaliso, amamelide, liquirizia, rusco, grazie alle numerose sostanze ad attività calmante, antinfiammatoria ed antiedemigena in esse contenute. Sebbene il gonfiore palpebrale e le “borse” siano spesso confusi tra loro, si tratta di inestetismi diversi e caratterizzati da cause ben distinte, in quanto le “borse”, a differenza del gonfiore, non sono il risultato di un edema, bensì di una fuoriuscita del grasso orbitario. Alla vista è possibile distinguere i due fenomeni osservando la morfologia della cute: se questa si presenta liscia e tesa si tratta di gonfiore, mentre in presenza delle “borse” appare lassa ed irregolare. Considerata la natura fisiopatologica delle “borse”, la loro eliminazione è possibile soltanto attraverso un intervento chirurgico. Per quanto riguarda le rughe, è proprio nella zona perioculare che compaiono i primi segni del tempo, a causa delle continue contrazioni dei muscoli facciali, ma anche in conseguenza all’azione del sole, del vento e degli sbalzi di temperatura. Con il passare degli anni, poi, le cellule si riproducono più lentamente e questo favorisce la decadenza fisica del tessuto. Le sostanze ad attività antirughe sono numerose: antiossidanti, vitamine, bioflavonoidi, echinacea, equiseto, lecitina di soia, oltre alle molecole in grado di aumentare la produzione di collagene ed acido ialuronico, come l’argirelina e la genisteina.
Cosmetici decorativi
Attorno al trucco dell’occhio si gioca buona parte del make up del viso, in un settore in cui i cosmetici abbondano, tra ombretti, mascara, eye-liner, khol, prodotti che diventano strumenti precisi e raffinati per creare giochi di luci ed ombre attorno agli occhi, modulando l’intensità dello sguardo. In realtà, prima di parlare di make up sarebbe bene cercare di capire il significato antropologico degli occhi, partendo proprio dalle principali differenze estetiche tra l’uomo e le altre creature. A differenza di molti altri animali, la nostra vista è discretamente buona ed oltre ad essere stereoscopica (in grado di individuare la distanza e la posizione degli oggetti) ci consente
di distinguere le diverse sfumature dei colori. Al centro dell’occhio si trova la pupilla, una fessura che consente l’ingresso della luce, circondata dall’iride,un disco contrattile che ne regola l’apertura. L’iride è controllata da un apparato di muscoli involontari che si rilassano e si contraggono in risposta agli stimoli esterni, per questo la pupilla rappresenta un indicatore decisamente attendibile delle nostre risposte emotive. Una caratteristica molto importante dell’occhio umano è la sclera (la parte bianca attorno all’iride), che nelle scimmie presenta lo stesso colore dell’iride. L’origine di questa mutazione ha occupato a lungo i pensieri degli antropologi, fino a farli convergere verso una teoria ormai condivisa, secondo cui la sclera dell’uomo sarebbe bianca per consentire agli interlocutori di individuare il direzionamento dello sguardo, semplificando così la comunicazione non verbale. E’ sufficiente pensare agli innumerevoli segnali che riusciamo a lanciare con lo sguardo, per capire l’importanza rivestita dagli occhi nella comunicazione umana. Gli Orientali presentano
una particolare forma di protezione, definita “plica mongolica”, che dona agli occhi di queste
popolazioni quel taglio caratteristico. Questa piega cutanea è presente nei feti umani di tutte le razze, ma si conserva soltanto nel ramo orientale della nostra specie e rappresenta un sistema di adattamento al freddo. Purtroppo le conseguenze della globalizzazione hanno portato ad un appiattimento generale degli usi e dei costumi, determinando l’insorgenza di alcune mode piuttosto discutibili, come quella che spinge molti Orientali a ricorrere alla chirurgia plastica per eliminare la “plica mongolica” e rendere i loro occhi simili a quelli degli Occidentali. Nell’occhio si riscontrano alcune piccole differenze tra i sessi: l’occhio maschile è lievemente più grande di quello femminile mentre quest’ultimo presenta una maggiore porzione di sclera, che rende più ampio lo sguardo. Ogni volta che si incontra qualcuno, l’attenzione cade subito sullo sguardo, per questo da sempre gli esseri umani cercano in tutti i modi di esaltare i propri occhi. Già nelle civiltà più antiche
era diffusa l’abitudine di colorare di scuro le palpebre e di evidenziare l’occhio dipingendo la pelle
circostante, creando una serie di cerchi concentrici di colori contrastanti. E’ questo il segreto del trucco degli occhi. Negli anni ’50 andavano di moda i cosiddetti “occhi da cerbiatta”, esaltati poi dal trucco delle ballerine, che tracciavano delle righe dall’interno degli occhi fino alle tempie. Come si possono scordare “gli occhi di gatto” resi celebri nel 1954 da Cosetta Greco, o “l’occhio di Cleopatra” ispirato a Liz Taylor nel 1962. A partire dagli anni ’70 iniziarono i “revival” della moda, con la ripresa delle sopracciglia sfoltite e ridisegnate ad arco (come quelle di Marlène Dietrich), rocesso che assecondò quella tendenza alla reinterpretazione che oggi regola la moda e le tendenze.
Tra i cosmetici decorativi dedicati all’occhio ricordiamo soprattutto: ombretti: si tratta di formulazioni contenenti dei pigmenti inorganici dispersi in diverse forme chimico- fisiche. Vengono preparati come polveri, creme o matite e servono per correggere o accentuare la forma naturale dell’occhio. Oltre ai pigmenti, gli ombretti moderni contengono anche diversi ingredienti dotati di proprietà funzionali, come l’amido di mais (lenitivo, assorbente), il biossido di titanio (pigmento
protettivo anti-UV), il talco (effetto vellutato), la polvere lipocompatta (che facilita la stesura)… Il
colore, oltre a seguire le tendenze della moda, deve armonizzarsi con le tinte naturali del viso, degli occhi e dei capelli; eye-liner: rappresenta uno strumento importante per rifinire il trucco dell’occhio, modificarne la forma e dare profondità allo sguardo. La composizione di questi cosmetici viene spesso arricchita con bisabololo (ad azione lenitiva ed antiarrossante), vitamine C ed E (ad azione antiradicalica, antiossidante e antietà), lauril-lisina (ad azione idratante) e numerose altre sostanze;
matite per occhi: servono a delineare con precisione la forma dell’occhio, grazie alla loro particolare
formulazione, arricchita con vitamine, olio di cocco (restituivo ed emolliente) e cere naturali che
ne aumentano il “potere scrivente”. Le matite devono essere temperate con il temperino cosmetico e coperte con l’apposito cappuccio per evitare che la mina attiri la polvere. Il kohl presenta origini antichissime, era noto ai tempi degli Egizi che lo utilizzavano non solo per le proprietà decorative, ma anche per quelle antisettiche ed antinfiammatorie a livello della congiuntiva. Una delle caratteristiche principali del khol è la resistenza all’acqua, che garantisce una lunga durata,
ma complica la correzione di eventuali sbavature. Esistono poi le matite sopraccigliari, importanti strumenti per riequilibrare il viso e donare armonia ai lineamenti; mascara: si tratta di un prodotto
dedicato alle ciglia e molto importante per far risaltare gli occhi. Ne esistono diverse tipologie, per allungare le ciglia, per infoltirle, per dare volumizzarle, per incurvarle… Alcuni mascara “allungatori” contengono dei pelisospesi che, disponendosi lungo l’asse delle ciglia, ne aumentano temporaneamente le dimensioni. Anche i mascara oggi sono arricchiti con sostanze
idratanti (vitamina B5, gomma arabica), protettive (vitamina E, provitamina A, vitamina C), nutrienti (polisaccaridi), modellanti (PVP), infoltenti e allunganti(cera d’api). Esistono anche dei mascara “comfort” arricchiti con estratto di malva, per occhi particolarmente delicati.

Coloranti di origine vegetale

I coloranti naturali si ottengono da una cinquantina di piante. Non potendo competere come forza e stabilità con i colori di sintesi, quelli vegetali più tollerati e sicuri .
Tutti i coloranti, adoperati dall’industria, si trovano registrati in un volume che fa testo in tutto il mondo, il Colour Index, del quale l’ultima edizione risale al 1976. Le sostanze sono raggruppate in diciannove classi chimiche e sono contraddistinte con un numero progressivo a cinque cifre. La numerazione parte da 10000 e arriva a 77999, preceduta dalla sigla C. I. I coloranti derivati dalle piante si trovano nella diciassettesima tabella e vanno dal n. 75000 fino al 75999, rientrano nella categoria anche gli antrachinoni, elencati nella quattordicesima tabella dal n. 58000 al 72999, e gli indigoidi, che si trovano nella quindicesima tabella dal n. 73000 al 73999. Con la lettera E s’indicano quelli di uso alimentare, secondo la terminologia prevista dalla Comunità Europea. La sigla FD&C (acronimo dell’inglese Food Drug and Cosmetic), stabilita dalla FDA, comprende i coloranti utilizzati in campo alimentare, farmaceutico e cosmetico.
L’elenco dei coloranti autorizzati in cosmesi è contenuto nell’Allegato IV della legge n. 713 dell’11/10/1986. I carotenoidi sono sostanze liposolubili, variabili dal giallo al rosso, contenute in frutta e verdura. Si distinguono in: caroteni, o idrocarburi dienici coniugati, che svolgono un’attiva funzione di fotosintesi e fotoprotezione nei tessuti delle piante, grazie alla capacità di estinguere e inattivare molecole ossigenate prodotte per azione del sole e dell’aria. Il beta -carotene è il colorante più diffuso e adoperato, mentre il licopene rappresenta l’antiossidante più potente finora conosciuto.
xantofille, o caroteni ossigenati, contengono gruppi ossidrilici e carbonilici, e variano dal giallo, all’arancio, al rosso.
carotenoidi acidi contengono gruppi acidi:la bixina è liposolubile, abbastanza stabile al calore, ma facilmente ossidabile a causa del gran numero di doppi legami e può isomerizzare in presenza di luce, calore o in ambiente acido; la crocetina invece è perfettamente idrosolubile.
La curcumina è nota anche per l’azione coleretica,dovuta alla presenza d’olio essenziale molto aromatico. È una polvere gialla poco solubile in acqua, solubile in alcol e glicoli, disperdibile in olio; è poco stabile alla luce, ma abbastanza stabile al calore. Le soluzioni alcoliche virano al rosso in ambiente alcalino.

I chinoni comprendono tutti quei composti il cui gruppo cromoforo è dato dal sistema coniugato del para e dell’orto: benzo, nafto e antrachinoni. Sono responsabili del colore scuro che compare sulla superficie dei vegetali tagliati, tale imbrunimento enzimatico è prodotto dall’ossidazione irreversibile mediata da enzimi, dopo esposizione alla luce e all’aria. L’alizarina è stato uno dei primi coloranti utilizzati dall’uomo.
Gli antrachinoni sono più usati per l’azione filtrante sui raggi UV. Lo juglone e il lawsone sono utilizzati come coloranti e riflessati per capelli.

I flavonoidi sono pigmenti presenti nella maggior parte di fiori, foglie e frutti nelle sfumature dal giallo all’arancio; sono dei polifenoli ad azione antiossidante . Alcuni flavanoli e flavanonglucosidi sono stati inclusi in coadiuvanti dietetici come vitamina P e indicati utili per trattare la fragilità capillare. La riboflavina o vit. B2 è il colorante giallo presente in molti ortaggi verdi, nel pomodoro e nel cavolo; è importante nei processi di ossidoriduzione.
Gli antociani sono presenti nei fiori come coloranti idrosolubili, più stabili in ambiente acido e variabili secondo il pH dell’ambiente dal rosso, al blu al violetto; di solito la colorazione finale non è dovuta a un solo pigmento, ma è il risultato di un complesso di pigmenti vari.
I tannini hanno un colore marcato variabile dal rosso al bruno; hanno proprietà antisettiche e astringenti.
Le furocumarine sono sostanze foto sensibilizzanti contenute nelle Rutacee e nelle Ombrellifere, in grado di legarsi sotto irraggiamento UV al DNA, bloccando e modificando l’attività cellulare. Si usavano in passato per accelerare l’abbronzatura, pertanto ne è vietato l’uso nei cosmetici, l’unico ancora permesso è l’oleolito di bergamotto. Oggi si usano in dermatologia per la cura della psoriasi e della vitiligine (terapia P-UVA). Il colore verde delle foglie dei vegetali o della buccia dei frutti immaturi è prodotto dalle clorofille, le quali sono pigmenti attivi nella fotosintesi e permettono di utilizzare l’energia solare. La struttura base è la porfirina, costituita da quattro anelli pirrolici legati da ponti metinici.
Le clorofille naturali presentano all’interno dell’anello un atomo di magnesio, mentre quelle sintetiche hanno il rame; sono poi esterificate con una molecola di fitolo, che essendo un carotenoide la rende liposolubile.
La clorofilla B è più stabile al calore della A, tale stabilità dipende anche dal pH: è più stabile in ambiente basico rispetto a quello acido. L’unico enzima in grado di catalizzare la degradazione della clorofilla a temperatura di 60-80° è la clorofillasi e porta alla formazione di sostanze idrosolubili.

L’indaco è uno dei coloranti più antichi, il carminio d’indaco o indigotina è il sale di solfato di sodio, d’uso anche alimentare.
La betanina è un colorante idrosolubile costituito da un complesso di pigmenti rossi (betalaine).
Il camazulene è un idrocarburo sesquiterpenico liposolubile colorato in blu, ricavato per distillazione dai fiori di alcune Asteracee (Camomilla recutita, Anthemis nobilis, Achillea millefolium); è usato soprattutto per le sue proprietà lenitive e disarrossanti.
Il caramello semplice si ottiene trattando i carboidrati con acidi, alcali o sali.
Le melanine vegetali o allomelanine sono polimeri indolici aventi funzioni protettive, poiché bloccano la formazione dei radicali liberi e proteggono la pianta dai raggi UV.
Impieghi cosmetici
Se in campo alimentare esistono dei sospetti per taluni coloranti vegetali, nel settore cosmetico non ci sono particolari limitazioni all’utilizzo. Qual è lo scopo del colorante? La funzione del colorante, all’interno di un cosmetico, consiste nel simulare o nell’enfatizzare la presenza di un determinato ingrediente o ancora nel mimetizzarne i difetti. Un esempio di simulazione può essere quello dello shampoo alla mela, in tal caso il colore verde rende più veritiero il prodotto agli occhi del consumatore, anche se in realtà c’è solo il profumo di mela! Un esempio d’enfasi può essere un colore indefinito che non attirerebbe di certo l’attenzione del potenziale acquirente!
L’ultima funzione è quella di standardizzare le caratteristiche visibilmente percettibili. In effetti, i coloranti sintetici presentano il vantaggio di essere più stabili, meno costosi e con una maggiore varietà di tonalità dei coloranti naturali, ma lasciano molti dubbi sulla loro innocuità. Confrontando, infatti, le formule dei coloranti sintetici tuttora ammessi con quelli riconosciuti come tossici e vietati, si notano somiglianze impressionanti che non possono lasciare indifferenti.
Tra i coloranti d’origine vegetale, quelli più utilizzati sono i caroteni. Facendo un esempio, essi sono inseriti nei solari, non solo per accentuare l’effetto tingente, ma soprattutto per sfruttarne le proprietà antiossidanti e riparatrici dei tessuti, in veste di precursori della vitamina A. Lo stesso discorso vale per il licopene e per la vitamina B2. L’uso dell’annatto è abbastanza diffuso sia come colorante di cosmetici igienici e di trattamento, sia nei pigmenti per l’uso decorativo. La curcumina si aggiunge nelle formulazioni più per la frazione aromatica che per l’effetto colorante. Poco usate sono la capsantina, la capsorubina, la crocetina e la betanina. Fra i flavonoidi, i più impiegati sono l’apigenina e la rutina, per le ormai note proprietà riflessanti per capelli e vasoprotettrici.
Il caramello si usa abitualmente per ottenere la tipica tonalità ambrata. I naftochinoni sono normalmente adottati sotto forma di estratti concentrati per colorare la pelle inserendoli nei prodotti autoabbronzanti e nei coloranti per capelli. Gli antociani, dalle specifiche proprietà vasoprotettrici, richiedono particolare attenzione nella formulazione, giacché esigono pH nettamente acidi. In cosmesi decorativa si è tentata la loro applicazione in ombretti, con buoni risultati estetici. Infine le fitomelanine, dalle proprietà antiossidanti e idratanti, sono poco usate a causa dei notevoli costi d’estrazione, perciò si preferiscono quelle emisintetiche.
Conclusioni
I coloranti naturali si ottengono da una cinquantina di piante circa e costituiscono innegabilmente un interessante settore applicativo. Non potendo competere come forza e stabilità con i colori di sintesi, quelli vegetali offrono il vantaggio di una migliore tollerabilità e di una maggiore sicurezza, spesso abbinata a funzionalità eudermiche, molto utili dal punto di vista cosmetologico.

PERCHÉ SI AGGIUNGONO I COLORANTI E I PIGMENTI NEI PRODOTTI PER L’IGIENE PERSONALE E DI TRATTAMENTO? QUALI POSSONO ESSERE USATI



Sebbene nel linguaggio comune i termini “colorante” e “pigmento” siano spesso utilizzati come sinonimi, nel settore cosmetico, essi identificano sostanze con comportamenti cromatici diversi. Un colorante è una sostanza che conferisce colore al mezzo in cui è disciolto. Un semplice esempio: il caramello è un colorante che si scioglie nell’acqua e impartisce una caratteristica colorazione bruna, tipica di molte bevande. In modo analogo il beta-carotene quando sciolto in un grasso, impartisce una colorazione aranciata. Quindi il colorante è una sostanza idro o liposolubile che conferisce una data colorazione al veicolo in cui è disciolto, acquoso oppure oleoso, e di norma è scarsamente colorato di proprio. tologia
Viceversa un pigmento (dal latino pigmentum = coloritura) è una sostanza insolubile sia in veicolo di tipo acquoso sia di tipo oleoso, nel quale può pertanto essere solamente disperso, e conferisce una data colorazione al substrato sul quale è applicato. Nel caso dei cosmetici quindi, la pelle, le labbra, le unghie. Un colorante può essere trasformato in pigmento mediante un processo di insolubilizzazione, generalmente tramite salificazione e deposizione su un substrato insolubile appunto, ottenendo un pigmento denominato tecnicamente lacca.
Da questa fondamentale distinzione consegue che: per conferire una colorazione a un cosmetico come un bagnoschiuma, un gel da barba, una crema viso, si utilizzano i coloranti; mentre per realizzare i prodotti da trucco e alcuni protettivi solari, si utilizzano i pigmenti.
In alcune formulazioni possono essere presenti entrambi. Per esempio in un dentifricio: un pigmento bianco (biossido di titanio) serve a conferire l’aspetto opaco, un colorante idrosolubile a dare una sfumatura di colore. Risulta evidente che nelle diverse tipologie di prodotto cosmetico un colorante vero e proprio è utilizzato in concentrazioni estremamente basse, mentre un pigmento è utilizzato come uno degli ingredienti principali, basti pensare a un ombretto, un rossetto, un mascara.
PERCHÉ SI UTILIZZANO I COLORANTI?
Nelle formulazioni detergenti la miscela di tensioattivi porta in genere a una colorazione giallo pallido un po’ anonima, da cui la tendenza di marketing a colorare leggermente il prodotto, anche in sintonia con la fragranza impiegata. Esempio eclatante degli ultimi anni, le linee di prodotti per bagno o doccia articolate secondo le connotazioni di frutti e fiori.
Nei prodotti in gel, le sostanze addensanti che viscosizzano l’acqua portano spesso a un aspetto biancastro, non accattivante secondo i canoni di marketing, e anche in questo caso piccole aggiunte di soluzioni coloranti trasformano e personalizzano il prodotto. Anche nelle emulsioni, seppure più raramente, può essere richiesta l’aggiunta di coloranti. Da sottolineare tuttavia che, mentre queste esigenze di marketing sono molto evidenti per i prodotti da profumeria e grande distribuzione, per il canale di vendita delle farmacie la tendenza è praticamente opposta, cioè la connotazione “senza coloranti” è considerata elemento di distinzione e di qualità, spesso irrinunciabile.
QUALI SONO I COLORANTI APPROVATI?
Dal punto di vista legislativo all’interno dell’Unione Europea (per l’Italia Legge 713/86 e successivi aggiornamenti), le sostanze coloranti approvate per l’uso nei prodotti cosmetici, siano esse coloranti o pigmenti, sono comprese nell’Allegato IV (Elenco dei coloranti che possono essere contenuti nei prodotti cosmetici). Coloranti diversi da quelli elencati in Allegato IV possono essere impiegati nei prodotti per la colorazione dei capelli.

Allegato IV. I coloranti sono elencati secondo un numero di Color Index, un sistema di codifica internazionale che attribuisce a ogni struttura chimica un numero di 5 cifre, utilizzato anche come nome INCI (acronimo di “International Nomenclature of Cosmetic Ingredient”), cioè quello che si ritrova nell’elenco degli ingredienti sulle confezioni dei cosmetici. Tranne che per alcuni rari casi,e a differenza di altre sostanze soggette a limitazione di impiego come i conservanti e i fi ltri UV, per i coloranti non vengono posti limiti di concentrazione, ma unicamente la limitazione relativa al tipo di prodotto cosmetico. I possibili impieghi di un colorante, all’interno delle diverse tipologiedi prodotti cosmetici, sono individuati attraverso 4 campi di applicazione e l’elenco dei coloranti autorizzati è pertanto strutturato di base come in tabella I. Dal campo di applicazione 1 in poi sirestringono le possibilità di utilizzo, vale a dire che un colorante con campo di applicazione 1 è autorizzato anche per tutte le tipologie di cosmetici previste dai campi successivi 2, 3 e 4. Viceversa un colorante di campo 4 non può essere utilizzato nei campi 3 e 2.
SICUREZZA DI IMPIEGO
Storicamente parlando, la lista positiva dei coloranti cosmetici (Allegato IV) è nata sulla falsariga di quella stilata per i prodotti alimentari. Numerosi coloranti per cosmetici sono elencati anche con la rispettiva codifi ca europea, un numero preceduto dalla lettera “E” (es. biossido di titanio = E171), che comporta l’obbligo di conformità a criteri di purezza fissati in relazione a tale codifi ca. Si può pertanto affermare che molti coloranti utilizzati nei cosmetici hanno requisiti tecnici, in particolare un contenuto in metalli pesanti e in impurità organiche, del tutto analoghi a quelli impiegati nel settore alimentare. Dal punto di vista dermatologico, i problemi legati all’utilizzo di cosmetici contenenti coloranti, si concentrano soprattutto in relazione a fenomeni di ipersensibilità in particolare al nichel. Questo metallo pesante rappresenta un’impurezza impossibile da eliminare e non solo nelle materie prime coloranti, ne consegue che, almeno a fronte delle attuali tecnologie di purificazione, è possibile realizzare prodotti cosmetici a bassissimo contenuto di nichel, ma non ancora etichettabili come “nichel-free”.

CENNI DI LEGISLAZIONE COSMETICA

Definizione di cosmetico

Ai fini della legge 713/86 (legge sui cosmetici) «per prodotti cosmetici si intendono le sostanze e le preparazioni, diverse dai medicinali, destinate a essere applicate sulle superfici esterne del corpo umano (epidermide, sistema pilifero e capelli, unghie, labbra, organi genitali esterni) oppure sui denti e sulle mucose della bocca allo scopo, esclusivo o prevalente, di pulirli, profumarli, modificarne l’aspetto, correggere gli odori corporei, proteggerli o mantenerli in buono stato».
In Italia la produzione e la vendita di prodotti cosmetici è disciplinata dalla Legge 11 ottobre 1986, n. 713. La legge ha recepito la direttiva comunitaria 76/768/CEE, emanata al fine di rendere uniforme a livello europeo la disciplina relativa alla produzione e alla vendita dei cosmetici.
La legge 713/86 disciplina, in particolare, gli aspetti relativi alla composizione dei prodotti cosmetici; alla presentazione (etichettatura, confezionamento e ogni altra forma di rappresentazione esterna del prodotto) e agli adempimenti necessari per avviare la produzione e la vendita o procedere all’importazione di prodotti cosmetici.

Allegati alla legge sui cosmetici

L’allegato I indica un elenco esaustivo di prodotti che ricadono nella definizione di cosmetico:

  • Creme, emulsioni, lozioni, gel e oli per la pelle (mani, piedi, viso, ecc.)
  • Maschere di bellezza (ad esclusione dei prodotti per il peeling)
  • Fondotinta (liquidi, paste, ciprie)
  • Cipria per il trucco, talco per il dopobagno e per l’igiene corporale, ecc.
  • Saponi da toletta, saponi deodoranti, ecc.
  • Profumi, acque da toletta e acqua di Colonia
  • Preparazioni per bagni e docce (sali, schiume, oli, gel, ecc.)
  • Prodotti per la depilazione
  • Deodoranti e antisudoriferi
  • Prodotti per il trattamento dei capelli
  • tinture per capelli e decoloranti
  • prodotti per l’ondulazione, la stiratura e il fissaggio
  • prodotti per la messa in piega
  • prodotti per pulire i capelli (lozioni, polveri, shampoo)
  • prodotti per mantenere i capelli in forma (lozioni, lacche, brillantine)
  • Prodotti per la rasatura (saponi, schiume, lozioni, ecc.)
  • Prodotti per il trucco e lo strucco degli occhi
  • Prodotti destinati a essere applicati sulle labbra
  • Prodotti per l’igiene dei denti e della bocca
  • Prodotti per l’igiene delle unghie e lacche per le stesse
  • Prodotti per l’igiene intima esterna
  • Prodotti solari
  • Prodotti abbronzanti senza sole
  • Prodotti per schiarire la pelle
  • Prodotti antirughe

L’allegato II indica le sostanze che non possono rientrare nella composizione dei prodotti cosmetici.
L’allegato III parte 1 riporta le sostanze il cui uso nei prodotti cosmetici è vietato, salvo entro determinati limiti e condizioni.
L’allegato IV parte 1 indica i coloranti utilizzabili nei prodotti cosmetici.
L’allegato V nella sezione 1A riporta i conservanti ammessi nei cosmetici, nella sezione 2A riporta l’elenco dei filtri UV autorizzati.
Gli ingredienti cosmetici, nel loro complesso, non devono attraversare la cute (per evitare effetti sistemici), ma devono oltrepassare la barriera epidermica per raggiungere le cellule bersaglio e interagire con i loro processi biochimici. Considerata la possibilità che gli ingredienti cosmetici vengano assorbiti attraverso la cute e provochino degli effetti sistemici, per tutelare la salute dei consumatori, sono sorti a livello nazionale e comunitario europeo degli enti deputati allo studio di queste problematiche. In sede comunitaria è stato creato un organismo consultivo tecnico della Commissione Europea preposto alla valutazione della sicurezza degli ingredienti cosmetici, denominato Scientific Comittee on Consumer Products (SCCP). Questo ente, sulla base delle analisi condotte, inserisce le sostanze studiate in un registro che prevede due categorie:

  • categoria I: la sostanza può essere impiegata come ingrediente cosmetico;
  • categoria II: la sostanza non può essere impiegata come ingrediente cosmetico;

Dopo essere state classificate, le sostanze vengono inserite nell’Inventario Europeo degli Ingredienti Cosmetici con l’apposito nome INCI.
I cosmetici presenti sul mercato devono essere sostenuti da un dossier, definito anche «Product Information File» (fascicolo informazioni prodotto), contenente tutte le informazioni di sicurezza riferite agli ingredienti e in grado di dimostrare la totale innocuità del prodotto per la salute dei consumatori.

Vigilanza e Cosmetovigilanza

Il ministero della Salute ha il compito di assicurare la sicurezza dei prodotti cosmetici presenti sul mercato, per questo opera su due fronti:

  • raccogliendo e verificando eventuali segnalazioni di reazioni avverse dovute all’impiego di prodotti cosmetici regolari, cioè conformi alla L. 713/86;
  • sorvegliando sul territorio per verificare e contrastare la vendita e la distribuzione di prodotti cosmetici irregolari, cioè non conformi alla L. 713/86.

Entrambe le attività rientrano nella funzione di vigilanza che il Ministero svolge e si definisce:

  • cosmetovigilanza il sistema di controlli relativi alle reazioni avverse;
  • sorveglianza il sistema di controlli relativi alle irregolarità dei prodotti.

La segnalazione al ministero della Salute di eventuali reazioni avverse relative all’utilizzo dei cosmetici (cosmetovigilanza) è un diritto e un dovere di tutti i cittadini, e gli operatori del settore dell’estetica professionale (a continuo contatto con i prodotti cosmetici) rappresentano una risorsa in questo senso.
In caso di segnalazione, il Ministero procede con:

  • una prima valutazione tecnica per verificare il nesso di causalità tra l’evento e il prodotto cosmetico;
  • la ricerca di eventuali altre segnalazioni relative allo stesso prodotto.

La prima valutazione del rischio viene effettuata da un gruppo di lavoro costituito da medici e farmacisti, che ha facoltà di richiedere ai NAS (Nuclei Anti Sofisticazioni), se necessario, il prelievo di un campione del prodotto.
Il campione prelevato viene poi sottoposto ad accertamenti e verifiche presso centri specializzati di riferimento. In questa prima fase di valutazione, se ritenuto necessario, si può richiedere al produttore (o al responsabile dell’immissione in commercio) di ritirare volontariamente dal commercio il prodotto o il lotto del prodotto interessato.
Sempre in tema di sicurezza dei prodotti, si ricorda che nell’Unione Europea (UE) è attivo un sistema di allerta rapido (RAPEX), che riguarda anche i cosmetici. Il sistema si basa sulla segnalazione del rischio relativo a un determinato prodotto che viene fatta circolare in tempo reale in tutti i paesi dell’Unione Europea, affinché gli Stati membri, verificata l’eventuale presenza sul proprio territorio del prodotto in questione, possano adottare gli opportuni provvedimenti (richiamo volontario, ritiro, sequestro) in relazione alla gravità del rischio segnalato. Parimenti, ogni Stato informa poi tutti gli altri Stati dei provvedimenti adottati nel proprio territorio. Le segnalazioni RAPEX riguardano nella maggior parte dei casi prodotti irregolari.

Animal Testing

Recentemente, all’interno degli Stati membri dell’Unione Europea, è entrato in vigore il divieto di sperimentare prodotti cosmetici finiti sugli animali. Inoltre, si è deciso di limitare al massimo l’utilizzo degli animali anche nella valutazione dei nuovi ingredienti cosmetici. Nel frattempo si stanno cercando metodi alternativi che, di volta in volta, vengono approvati dal Centro Europeo per la Convalida di Metodi Alternativi (ECVAM – European Centre for the Validation of Alternative Methods).

Cosmeceutici

A oggi non è ancora stata stabilita una definizione precisa del termine ‘‘cosmeceutico’’, che in linea generale indica tutti quei cosmetici a base di sostanze funzionali non classificati come medicinali, ma che possono essere presenti in alcuni farmaci: per esempio l’urea, l’acido azelaico, gli alfa- e beta-idrossiacidi...
In generale i cosmetici che contengono degli ingredienti presenti nelle farmacopee (e utilizzati quindi anche nei farmaci) possono essere definiti cosmeceutici. È chiaro che si tratta di ingredienti che non presentano alcun effetto collaterale.
Da un punto di vista normativo, in Italia, fino a oggi i cosmeceutici non hanno trovato una collocazione precisa, mentre altre nazioni hanno iniziato a disciplinarli. Al di là delle numerose controversie che si sono venute a creare circa l’utilizzo dei cosmeceutici, il suffisso «-ceutico» evoca nelle menti dei consumatori l’efficacia dei farmaci e fa pensare a dei prodotti dotati di una maggiore attività rispetto ai semplici cosmetici. Lasciando da parte il marketing, è bene sottolineare che i cosmeceutici sono a tutti gli effetti dei cosmetici, la cui distribuzione non richiede prescrizione medica e il cui utilizzo è sicuro e privo di effetti collaterali.

Le etichette e la loro lettura

Per quanto riguarda l’etichettatura dei prodotti cosmetici, sul contenitore a diretto contatto con il cosmetico (condizionamento primario) e sull’imballaggio esterno (condizionamento secondario) devono essere riportati i seguenti elementi:

  • il nome o la ragione sociale e la sede legale del produttore o del responsabile dell’immissione sul mercato del prodotto cosmetico;
  • il contenuto nominale (obbligatoriamente in italiano);
  • la data di durata minima, se inferiore a 30 mesi, o la validità post apertura se la data di scadenza del prodotto integro è superiore ai 30 mesi, (obbligatoriamente in italiano). Per i prodotti con durata minima superiore a 30 mesi deve essere riportata un’indicazione relativa al periodo di tempo in cui il prodotto, una volta aperto, può essere utilizzato senza effetti nocivi per il consumatore, preceduta dal simbolo rappresentante un barattolo di crema aperto;
  • le precauzioni d’impiego (obbligatoriamente in italiano). In caso di impossibilità pratica di riportare sul contenitore a diretto contatto con il cosmetico o sull’imballaggio esterno le precauzioni particolari per l’impiego, esse devono essere contenute in un foglio di istruzioni, una fascetta o un cartellino allegati. A tali indicazioni il consumatore deve essere rinviato mediante un’indicazione abbreviata o mediante il simbolo di rinvio;
  • il lotto di fabbricazione;
  • il Paese d’origine per i prodotti fabbricati in Paesi extra-Europei;
  • la funzione del prodotto (obbligatoriamente in italiano);
  • l’elenco degli ingredienti (può essere riportato anche solo sull’imballaggio esterno del prodotto).

Gli ingredienti «devono essere riportati in ordine decrescente di peso al momento dell’incorporazione», secondo la nomenclatura INCI. Questa regola non vale per i componenti presenti in quantità inferiore all’1%, i quali possono essere indicati in ordine sparso.
I composti coloranti vengono indicati con il numero di CI (Colour Index).
I composti aromatici (fragranze) possono essere indicati genericamente con i termini «aroma» o «profumo». Per quel che riguarda le sostanze potenzialmente allergeniche (in grado di provocare allergia negli individui particolarmente sensibili) è obbligatorio indicarne la presenza all’interno dell’elenco degli ingredienti soltanto se presenti in concentrazione superiore allo 0,001% nei prodotti non a risciacquo e in concentrazione dello 0,01% nei prodotti a risciacquo.
Nei messaggi che si riferiscono ai prodotti cosmetici, siano essi contenuti nell’etichetta o in altri stampati o ancora su testi di carattere pubblicitario, non possono essere attribuite ai cosmetici caratteristiche diverse da quelle di pulire, profumare, modificare l’aspetto, proteggere o mantenere in buono stato superfici esterne del corpo umano. In particolare, i prodotti cosmetici non possono vantare attività terapeutiche, né riportare denominazioni correlate con patologie.

La nomenclatura INCI

Si tratta della denominazione utilizzata per indicare gli ingredienti sulle etichette dei prodotti cosmetici.
La sigla INCI sta per International Nomenclature of Cosmetic Ingredients e indica una terminologia elaborata da COLIPA (Associazione delle Industrie Cosmetiche Europee) per soddisfare l’esigenza di un approccio internazionale.
Le sostanze che hanno subìto un intervento chimico sono indicate con un nome inglese, mentre i derivati vegetali ottenuti per estrazione sono contraddistinti dal nome botanico latino della pianta di derivazione. Anche alcune sostanze di uso comune sono indicate in latino, per esempio l’acqua (aqua), il miele (mel), il burro (butyrum).

3. La sicurezza cosmetica

Ogni consumatore, nel corso della propria esistenza, utilizza decine di cosmetici diversi, molti dei quali vengono scelti direttamente in fase d’acquisto, mentre altri si è costretti a utilizzarli senza averli scelti, quando per esempio ci si trova fuori casa. Da queste semplici considerazioni emerge chiaramente che la sicurezza dei prodotti cosmetici è una questione di interesse collettivo, che riguarda una fetta sempre più importante della società.
Quando si parla di prodotti cosmetici, non bisogna limitarsi a considerare solamente gli effetti indesiderati che possono derivare dal loro utilizzo, ma anche quelli che si possono verificare in seguito a una loro «assunzione» accidentale. Per questo i controlli che vengono effettuati sui cosmetici vanno ben oltre la semplice considerazione dei loro effetti cutanei. Nel 1976 l’Unione Europea ha deciso di considerare la sicurezza dei cosmetici sulla base degli ingredienti che li compongono, partendo dall’assunto che un prodotto ricavato dall’unione di ingredienti sicuri sarà, a sua volta, sicuro (Direttiva europea 76/768, recepita in Italia con la legge 713/86).
La disciplina che si occupa dello studio della sicurezza degli ingredienti cosmetici è la tossicologia, che ha messo a punto numerosi test ad hoc per il settore cosmetico.

Test di sicurezza

I principali test tossicologici che vengono effettuati sugli ingredienti cosmetici sono:

  • tossicità acuta: per valutare eventuali effetti nocivi per la salute in seguito a una sola assunzione della sostanza per via orale o inalatoria;
  • tossicità a dosi ripetute: per esaminare eventuali effetti tossici conseguenti all’applicazione prolungata della sostanza;
  • irritazione cutanea e corrosività: per verificare che gli ingredienti cosmetici non siano irritanti e non producano arrossamento o edema nella zona di applicazione;
  • sensibilizzazione cutanea: per valutare l’eventuale presenza di agenti in grado di determinare reazione allergica nei soggetti predisposti;
  • fototossicità: per assicurarsi che gli ingredienti, una volta applicati a livello cutaneo, non diventino tossici in seguito a esposizione alla luce;
  • assorbimento percutaneo: per valutare se gli ingredienti sono in grado di penetrare attraverso i diversi strati della pelle e raggiungere il sistema circolatorio sottostante, determinano degli effetti a livello sistemico;
  • tossicocinetica e tossicodinamica: si tratta di studi molto specifici, effettuati per esaminare la distribuzione delle sostanze nel nostro organismo dall’assorbimento all’eliminazione (tossicocinetica) o per analizzarne i meccanismi di interazione con i target molecolari verso i quali esse manifestano gli effetti tossici (tossicodinamica). Questi studi sono molto importanti per capire meglio la tossicità di alcuni ingredienti e poter mettere a punto nuovi test di sicurezza;
  • cancerogenicità, mutagenicità/genotossicità e tossicità a livello dell’apparato riproduttore: si tratta di test che vengono eseguiti per essere sicuri che gli ingredienti non favoriscano l’insorgenza di tumori, non inducano mutazioni a livello del DNA e non compromettano la capacità riproduttiva;
  • studi sull’uomo: si tratta semplicemente di innocui test di compatibilità cutanea effettuati su volontari, per assicurarsi che il nuovo ingrediente (la cui sicurezza sia stata ampiamente dimostrata nei test in vitro o sugli animali) non induca delle reazioni locali. Tutti gli studi sull’uomo devono essere condotti in accordo con la Dichiarazione di Helsinki del 1964 (e con le sue successive revisioni) e devono essere effettuati da personale esperto con tutte le precauzioni necessarie per evitare che nei partecipanti allo studio si possano verificare degli effetti indesiderati.

I principali test tossicologici che vengono effettuati sui prodotti cosmetici finiti sono rappresentati da studi sull’uomo, in quanto utilizzatore finale e unico modello realistico. Si tratta anche in questo caso di test di compatibilità cutanea effettuati su volontari, per assicurarsi che il nuovo prodotto finito (formulato con ingredienti la cui sicurezza sia stata ampiamente dimostrata nei test in vitro o sugli animali) non induca delle reazioni locali.
L’obiettivo dei test di compatibilità cutanea è quello di simulare al meglio le condizioni di utilizzo previste.
Le procedure di test suggerite nella valutazione di una formulazione significativamente nuova, per la quale non esistano dei dati di riferimento in prodotti correlati, sono i seguenti:

    • test epicutaneo aperto con applicazione singola: è indicato nella valutazione di formulazioni nuove (o vecchie modificate) usate per la prima volta sulla cute umana o di formulazioni a elevato potenziale irritante (creme depilatorie, permanenti e coloranti per capelli). Il prodotto viene applicato sull’avambraccio senza diluizioni, per un tempo variabile, dopodiché si procede con una valutazione visiva, osservando il rossore, la desquamazione e altri segni clinici di irritazione locale;
    • test epicutaneo aperto con applicazioni ripetute: con questo metodo si possono effettuare degli studi comparativi di formulazioni contenenti per esempio tensioattivi. La frequenza delle applicazioni ripetute viene decisa caso per caso. Le valutazioni, effettuate regolarmente, possono essere visive (rossore, desquamazione...) o strumentali (perdita di acqua transepidermica, intensità del rossore...);
    • patch test epicutaneo in occlusione o semiocclusione con applicazione singola: viene usato per le nuove formulazioni contenenti materie prime note e consente di effettuare studi comparativi di diverse formulazioni sullo stesso individuo. I prodotti da testare vengono applicati sulla pelle dell’avambraccio o della schiena per periodi fino a 48 ore con cerotti (usati nei test di allergenicità) occlusivi o semi-occlusivi e le valutazioni sono effettuate generalmente 15 minuti e 24 ore dopo la rimozione del cerotto. Solitamente la valutazione viene effettuata visivamente, ma si può ricorrere anche a misurazioni strumentali;
    • patch test epicutaneo in occlusione o semiocclusione con applicazioni ripetute: è utilizzato soprattutto per la valutazione di prodotti contenenti tensioattivi o per evidenziare piccole differenze tra formulazioni con debole potere irritante, ma usate frequentemente e ripetutamente (saponi e shampoo). Si possono seguire diversi protocolli, per esempio applicando il prodotto con cerotto occlusivo o semi-occlusivo più volte entro le 96 ore. Le valutazioni, effettuate ogni giorno, possono essere visive o strumentali;
    • test d’uso controllato: ai volontari vengono applicati i prodotti da testare in condizioni controllate (in presenza dell’operatore) e la valutazione degli eventuali effetti irritanti viene effettuata in condizioni precise e standardizzate;
    • test d’uso domestico: si sceglie un certo numero di volontari che utilizzeranno il prodotto per un periodo di tempo prestabilito, durante il quale si sottoporranno a valutazioni periodiche da parte di esperti, che analizzeranno le condizioni della pelle ed esamineranno i pareri espressi dai volontari. Questi test, oltre alla sicurezza, consentono di valutare l’efficacia e la gradevolezza del prodotto, ma l’applicazione del cosmetico è effettuata in assenza di controllo da parte dell’operatore.

4. L’efficacia cosmetica

Chi si occupa di promozione e vendita di cosmetici deve essere in grado di sostenerne l’efficacia, partendo proprio dal significato stesso di questo termine e dalla conoscenza dei mezzi che i produttori hanno a disposizione per dimostrare i claims (effetti) vantati dai propri prodotti.
Un cosmetico, per essere efficace, non deve compiere dei prodigi, portando a chissà quali cambiamenti nell’aspetto degli utilizzatori: deve contribuire a mantenere nel tempo una situazione di equilibrio cutaneo e contrastare progressivamente l’insorgenza di eventuali inestetismi.

Test di Efficacia

Esistono numerose metodiche non invasive in grado di valutare l’efficacia dei nuovi prodotti. I diversi effetti cosmetici possono essere più o meno quantificabili, a seconda della maggiore o minore oggettività, attraverso specifici test che sono raggruppabili in tre categorie principali:

  • test d’uso: prevedono l’utilizzo del prodotto finito in condizioni realistiche su un opportuno campione di persone che, dopo un determinato periodo di tempo, esprimeranno delle valutazioni in funzione del claim vantato (valutazioni soggettive);
  • test clinici: prevedono l’utilizzo del prodotto finito in condizioni realistiche su un opportuno campione di persone e vengono effettuati sotto la supervisione di professionisti esperti (valutazioni soggettive/oggettive);
  • test strumentali: si riferiscono all’utilizzo di strumenti sofisticati in grado di effettuare delle misurazioni analitiche (chimico-fisiche, biologiche, microbiologiche) direttamente sul sito di applicazione del prodotto, seguendo dei modelli sperimentali precisi. Questi test vengono effettuati su volontari sani e prendono in considerazione due aree cutanee separate, una trattata con il prodotto da testare e l’altra non trattata (controllo): dalla differenza tra i valori delle due aree si ottengono i risultati di efficacia, che verranno poi elaborati attraverso dei programmi di statistica.

Per ogni parametro cutaneo è previsto uno strumento di misurazione specifico, pertanto l’efficacia dei diversi prodotti cosmetici potrà essere dimostrata utilizzando degli opportuni protocolli di valutazione strumentale.
I principali parametri biofisici cutanei esaminati sono i seguenti.
Contenuto idrico: indica la quantità di acqua presente a livello cutaneo ed è di fondamentale importanza per assicurare le funzioni meccaniche e di barriera della cute. Il contenuto idrico cutaneo viene misurato mediante il corneometro, uno strumento che si basa sull’analisi delle proprietà elettriche della cute, legate a loro volta all’acqua presente a livello dello strato corneo.
Quantità di sebo: ogni centimetro quadrato di pelle contiene circa 100 ghiandole sudoripare e 15 ghiandole sebacee; queste ultime sono poste alla base dei peli e producono una sostanza chiamata sebo che, insieme al sudore, forma una specie di mantello idroacidolipidico su tutto il corpo, svolgendo una funzione lubrificante e di difesa contro batteri, parassiti e funghi. La produzione del sebo è un processo continuo, che subisce delle modificazioni in particolari periodi, per esempio durante la pubertà e la menopausa. L’attività delle ghiandole sebacee è di fondamentale importanza nell’eziopatogenesi dell’acne. Lo strumento utilizzato per la misurazione del sebo è il sebometro.
Funzione barriera: la barriera idrolipidica della pelle dipende dalle proprietà dello strato corneo, che presenta una struttura «a mattoni e cemento» formata da corneociti e lipidi lamellari. Il parametro che si prende in considerazione per valutare l’efficienza della barriera cutanea è la perdita di acqua trans-epidermica (TEWL), misurata mediante l’evaporimetro.
pH: il suo valore dipende dalla natura e dalla quantità delle molecole idrosolubili presenti nello strato corneo ed è fondamentale per garantire l’efficacia della barriera cutanea contro le aggressioni batteriche. Il pH della pelle varia a seconda del distretto corporeo e del sesso del soggetto (circa 5 nell’uomo e 5.5 nella donna) e può essere modificato nel corso di alcune patologie o in seguito all’utilizzo di prodotti non adatti, in particolare di detergenti troppo aggressivi. Variazioni ingenti del pH cutaneo possono comportare delle alterazioni a livello dell’idratazione, della secrezione sebacea e dell’equilibrio generale della pelle. Lo strumento utilizzato per misurare il pH della pelle è il pHmetro.
Temperatura: la pelle svolge un ruolo fondamentale nel processo della termoregolazione, dal momento che si trova a ponte tra l’ambiente interno e quello esterno, due sistemi a temperatura molto diversa. Le variazioni della temperatura cutanea dipendono principalmente dalle alterazioni del flusso ematico e vengono misurate attraverso l’utilizzo dei termografi, strumenti costituiti da un sensore termico che viene posto direttamente a contatto con l’area di interesse.
Colore: è un elemento molto importante ai fini della valutazione dello stato di salute della pelle e dipende dal modo in cui la luce interagisce con la superficie cutanea, in particolar modo dal rapporto tra la quantità di luce assorbita e quella diffusa. Il colore della pelle può essere misurato attraverso l’utilizzo di colorimetri e spettrofotometri, strumenti in grado di quantificare i colori con grande precisione.
Microcircolazione: se si considera che la pelle è l’organo più grande per estensione, si capisce che il microcircolo cutaneo riveste una grande importanza per l’intero organismo, soprattutto per quel che riguarda la termoregolazione, la nutrizione, lo scambio di ossigeno e la risposta immunitaria. A livello dermatologico, la microcircolazione cutanea è di cruciale importanza nell’eziologia di alcuni inestetismi, tra cui la cellulite e le couperose, ma anche nei processi di invecchiamento cutaneo.
Gli strumenti per la misurazione del flusso ematico a livello dermico sono numerosi, anche se il più importante è il flussimetro laser Doppler.
Conformazione superficiale: la superficie cutanea, se osservata al microscopio, presenta una tramatura molto particolare, caratterizzata da rilievi e depressioni che delimitano numerose linee, diverse per numero e dimensione.
Hashimoto ha classificato le linee superficiali della pelle in primarie, secondarie, terziarie e quaternarie, a seconda della profondità e della disposizione. Con il passare degli anni la tramatura cutanea subisce delle modificazioni e le linee di depressione diventano meno frequenti, ma più profonde, i solchi secondari scompaiono e quelli primari evolvono nelle rughe.
Klingman ha classificato le rughe in rughe facciali lineari, rughe glifiche, grinze, increspature, pieghe naso-labiali.
Esistono dei metodi strumentali molto precisi, tra cui la profilometria, che si basa sullo scorrimento di un particolare sensore su un calco di resina ottenuto dall’epidermide del volontario (replica cutanea) e sulla successiva lettura dei rilievi, proporzionali alla profondità delle rughe. Negli studi per la valutazione dei prodotti anti-rughe sono necessari dei confronti, per questo si utilizzano le scale di classificazione fotografica di Larnier, in cui ogni foto corrisponde a un diverso grado di foto-invecchiamento cutaneo, o la classificazione di Glogau, che si basa sulla valutazione di una serie di segni tipici del fotoinvecchiamento.
Spessore: la profondità della cute varia a seconda del sesso e del distretto corporeo considerato, ma soprattutto si riduce con l’aumentare dell’età, per questo risulta un parametro molto importante per la valutazione delle condizioni della pelle e per lo studio dei processi di invecchiamento.
Lo spessore cutaneo viene misurato attraverso l’ecografo, che sfrutta il potere di penetrazione degli ultrasuoni a frequenza elevata.
Proprietà meccaniche: i diversi strati che compongono la cute le conferiscono una certa elasticità, fondamentale per consentire i movimenti del corpo. Le principali strutture preposte al mantenimento dell’elasticità cutanea si trovano a livello del derma e sono le fibre elastiche, immerse nella matrice colloidale.
Esistono diversi strumenti che consentono lo studio dell’elasticità cutanea, a seconda delle proprietà fisiche che si prendono in considerazione (tensione, torsione, impatto...).
Protezione Solare: considerata l’importanza che i prodotti solari rivestono per la salute umana, le informazioni presenti sulle loro etichette risultano fondamentali per consentire ai consumatori di scegliere i prodotti più indicati per il loro fototipo.
Purtroppo una fetta ancora troppo piccola di popolazione conosce i rischi reali delle radiazioni ultraviolette, i significati delle sigle UVA e UVB, le norme di utilizzo dei prodotti solari e questo rende ancora più importante una buona comunicazione cosmetica in questo campo, che rappresenta un borderline molto sottile tra la bellezza e la salute, tra l’efficacia e la sicurezza. Le principali informazioni da trasmettere ai consumatori, in relazione all’utilizzo dei prodotti solari sono le seguenti.
Il fototipo: la pelle ha attivato dei sistemi naturali per difendersi dalle radiazioni solari e grazie alla presenza dei melanociti, nella zona di confine tra epidermide e derma, è in grado di sintetizzare un pigmento scuro, la melanina, a partire dalla tiroxina. I melanociti sintetizzano due diversi pigmenti di melanina: le eumelanine (di colore bruno, tipiche delle pelli scure e dei neri) e le feomelanine (di colore rossastro, più instabili e caratteristiche delle pelli). L’abbronzatura rappresenta un sistema di protezione naturale in risposta a un insulto fisico e il fototipo, che fa riferimento a diverse caratteristiche morfologiche (colore della pelle, dei capelli e degli occhi), è un parametro fondamentale per valutare la sensibilità di un soggetto alle radiazioni solari e per scegliere il prodotto solare più indicato:

  • Fototipo I: celtico, capelli biondo-rossi, pelle chiara, pallida, occhi blu, verdi. Si scotta sempre, non si abbronza e necessita di una protezione molto elevata. Si consiglia di esporsi al sole il meno possibile, proteggendosi con vestiti e creme solari.
  • Fototipo II: germanico, capelli biondi, pelle chiara, occhi blu, verdi, grigi. Si scotta con facilità, si abbronza poco e necessita di una protezione elevata. Si consiglia di non esporsi al sole durante le ore più calde.
  • Fototipo III: misto, capelli castani, pelle opaca, occhi bruni. Si scotta moderatamente, si abbronza gradualmente e necessita di protezione media.
  • Fototipo IV: mediterraneo, capelli scuri o neri, pelle scura, occhi scuri. Si scotta minimamente, si abbronza sempre con rapidità e necessita di una protezione medio-bassa.
  • Fototipo V: sud americano, capelli neri, pelle olivastra, occhi scuri. Raramente si scotta, si abbronza intensamente e con rapidità. Necessita di una protezione bassa.
  • Fototipo VI: razza nera, capelli neri, pelle nera, occhi scuri. Si scotta molto raramente.

SPF (Sun Protection Factor): si tratta di un parametro fondamentale per quantificare la protezione solare di un determinato prodotto nei confronti delle radiazioni UVB. La sensibilità della cute nei confronti delle radiazioni solari è espressa dalla dose minima eritematogena (MED), che indica la più bassa dose di raggi UV in grado di produrre nei volontari un arrossamento cutaneo visibile dopo 24-26 ore dall’esposizione. L’SPF esprime il rapporto tra la MED della pelle protetta dal prodotto solare e la MED di quella non protetta: maggiore è la capacità protettiva del prodotto, maggiore sarà la MED della pelle protetta e di conseguenza l’SPF.
PPD (Persistent Pigment Darkening): dal momento che sono ben noti i danni a lungo termine causati dalle radiazioni UVA, è stato fondamentale mettere a punto un sistema di misurazione della protezione UVA. Questo metodo valuta la pigmentazione della melanina presente nella pelle, in seguito all’esposizione a radiazioni UVA di volontari dotati di buone capacità di pigmentazione (fototipo II-IV).
COLIPA (Associazione Europea per i Cosmetici e i Prodotti per l’Igiene Personale) ha emesso una raccomandazione nella quale sottolinea l’importanza che almeno 1/3 dell’SPF totale sia costituito da filtri che blocchino anche i raggi UVA. La raccomandazione è accompagnata anche da linee guida che consentono la valutazione della protezione UVA in laboratorio.
I principali test utilizzati per valutare l’efficacia dei cosmetici sono i seguenti:

  • prodotti idratanti ed emollienti: corneometria ed elastometria;
  • prodotti nutrienti: corneometria, elastometria e profilometria;
  • prodotti protettivi e lenitivi: evaporimetria, colorimetria, flussimetria;
  • prodotti schiarenti: colorimetria, tecniche fotografiche e videomicroscopiche;
  • prodotti antirughe: tecniche fotografiche, profilometria, colorimetria, ecografia, flussimetria, elastometria, corneometria;
  • prodotti seborestitutivi: sebometria;
  • prodotti anticellulite: tecniche fotografiche, plicometria, ecografia, flussimetria, termografia, elastometria, profilometria;
  • prodotti rassodanti: elastometria, corneometria, ecografia;
  • prodotti anticaduta: fototricogramma, sebometria;
  • prodotti solari: SPF, UVApf, PPD

5. La gradevolezza cosmetica

La gradevolezza definisce il livello di gratificazione sensoriale evocato dall’utilizzo di un prodotto/servizio. Come è stato sottolineato più volte, la formulazione dei moderni cosmetici non può più prescindere da un’attenta valutazione delle proprietà sensoriali a essi associati.
La sicurezza e l’efficacia sono delle caratteristiche essenziali, ma non sufficienti per rendere un prodotto vendibile: a fare la differenza nei processi di acquisto è l’estetica del prodotto, intesa come l’insieme delle sensazioni che esso è in grado di suscitare. Questo ha imposto la necessità di sviluppare dei sistemi di analisi oggettivi che, basandosi sulla valutazione sensoriale da parte di un certo numero di persone, consentano di prevedere la risposta del grande pubblico ed eventualmente di correggere il tiro finché si è in tempo.

Analisi sensoriale

L’analisi sensoriale è ormai una vera e propria scienza che, accanto alla valutazione della sicurezza e dell’efficacia dei cosmetici, contribuisce a determinarne il successo nella vendita. Lo strumento di misurazione nell’analisi sensoriale è l’uomo e i parametri che vengono presi in considerazione sono tutti gli elementi del cosmetico in grado di stimolare i sensi. All’interno di questa disciplina è molto difficile riuscire a sviluppare un linguaggio oggettivo, per questo esistono dei percorsi formativi di «addestramento sensoriale», che si pongono l’obiettivo di istruire i valutatori (panelisti) a quantificare oggettivamente le percezioni sensoriali ottenute in condizioni standard.
I diversi gruppi di volontari vengono seguiti da un panel leader nelle diverse fasi di addestramento, durante le quali utilizzano dei campioni di prodotti e imparano a riconoscere, a quantificare e a esprimere i diversi attributi sensoriali, fino ad arrivare a costruire un vocabolario comune da utilizzare nelle fasi sperimentali. Durante lo svolgimento dei test, ogni volontario esegue le proprie valutazioni in una cabina isolata, per non essere influenzato dagli altri valutatori. Un requisito fondamentale per questi test è la ripetibilità dei dati, pertanto i soggetti che non forniscono dati ripetibili vengono scartati.
L’analisi sensoriale è fondamentale per interpretare le sensazioni evocate dall’interazione tra i prodotti e i consumatori, e rappresenta l’unico strumento in grado di supportare le proprietà vantate da quei prodotti cosmetici che si prefiggono, per esempio, l’obiettivo di conferire alla pelle o ai capelli un aspetto liscio, luminoso, vellutato e soffice. La valutazione di queste caratteristiche rientra nelle misurazioni sensoriali, che fanno riferimento a parametri per i quali non esistono delle unità di misura precise: per esempio «l’untuosità al tatto» di una crema o la «famiglia olfattiva» di un profumo non possono essere descritti da un punto di vista fisico.
La valutazione sensoriale viene elaborata a livello cerebrale secondo degli schemi piuttosto complessi, che fanno riferimento a due componenti fondamentali, una di carattere sensoriale (dipendente dall’intensità e dalla qualità della sensazione evocata dall’utilizzo del prodotto), l’altra di carattere edonistico (legata all’individualità del soggetto, al suo vissuto e alle sue emozioni).
A seconda di quale di queste componenti viene presa in considerazione, i test sensoriali si possono dividere in quali-quantitativi, che cercano di descrivere oggettivamente le sensazioni evocate dall’uso di un prodotto, ed edonistici, che esprimono in termini soggettivi la gradevolezza delle sensazioni. Il primo gruppo di test si basa sulla valutazione di descrittori oggettivi, come l’intensità o la tipologia di profumi e colori, mentre il secondo risponde a domande di carattere personale.
Tra i principali test sensoriali rientrano:

  • test discriminativi: sono molto semplici e consentono di rilevare la presenza o l’assenza di differenze sensoriali qualitative tra due o più prodotti, senza far riferimento all’entità di queste differenze. Sono molto utili nelle fasi di sviluppo di nuovi cosmetici, in quanto consentono di capire se l’aggiunta di qualche ingrediente determina delle variazioni sensoriali rilevanti nel prodotto finale. Non richiedono dei valutatori eccessivamente addestrati, l’importante è che siano in grado di percepire le differenze sensoriali;
  • test descrittivi: forniscono una descrizione completa del profilo sensoriale del prodotto, basandosi sulla valutazione dell’intensità delle sensazioni percepite. Sono più complessi di quelli precedenti e richiedono dei valutatori preparati e in grado di utilizzare un linguaggio molto preciso, fondato su specifici «descrittori» sensoriali. In questi test, generalmente, vengono effettuate tre valutazioni sequenziali, che fanno riferimento all’analisi del campione prima, durante e dopo l’applicazione. Queste valutazioni vengono ripetute diverse volte per standardizzare i risultati;
  • test edonistici e customer test: hanno lo scopo di sondare le impressioni dei consumatori, attraverso la valutazione individuale del prodotto nella sua totalità, senza far riferimento alle componenti quali-quantitative delle singole sensazioni. Molti di questi test sono condotti direttamente a casa dai volontari, ai quali viene fornito, insieme al prodotto da utilizzare, un apposito questionario contenente anche le istruzioni necessarie per condurre il test. I test di gradevolezza olfattiva vengono condotti nel laboratorio di analisi, sotto la supervisione di personale esperto che si occupa di distribuire i campioni da valutare e di fornire le informazioni necessarie per l’effettuazione del test. I volontari, scelti direttamente tra il pubblico senza alcuna preparazione particolare, dovranno annusare i diversi campioni, esprimendo un giudizio personale in merito all’adeguatezza della nota olfattiva scelta per il campione in esame. I consumer test si basano sulle impressioni dirette di personale non esperto per verificare le intenzioni di acquisto dei prodotti, possono essere effettuati sottoforma di interviste all’uscita dai negozi, in questo caso la terminologia utilizzata deve essere molto semplice per risultare comprensibile a tutti.
Gli studi sensoriali consentono di capire quali sono le motivazioni profonde che avvicinano i consumatori a un prodotto, una confezione o una pubblicità, superando i semplici dati numerici e scoprendo i meccanismi reali, le fantasie e le aspettative che stanno alla base delle scelte.