venerdì 14 maggio 2010

MATERIE PRIME COSMETICHE: I COLORANTI

Materie prime nei cosmetici



L’utilizzo dei coloranti in cosmetologia risponde a svariati biettivi e non è legato esclusivamente ai prodotti da makeup. I coloranti possono essere utilizzati per mascherare delle colorazioni sgradevoli, derivanti ad esempio dall’utilizzo di estratti
vegetali, oppure per differenziare prodotti simili,ma dotati di diverse proprietà, facilitandone il riconoscimento.Tuttavia il marketing ci ha insegnato che il colore dei prodotti è uno degli elementi che influenza maggiormente il processo di acquisto
da parte dei consumatori e questo fenomeno si spinge ben oltre il packaging, soprattutto nella nostra società, così attenta ai dettagli sensoriali dei prodotti. Pertanto i coloranti sono in grado di esaltare le caratteristiche dei cosmetici, al pari dei profumi e della texture, e rappresentano uno strumento fondamentale di vendita, al quale i produttori e i distributori devono rivolgere un’attenzione sempre maggiore. Le industrie che lavorano nel
settore dei coloranti devono rispondere a delle richieste sempre più complesse ed articolate da parte dei produttori di cosmetici, dovendo studiare separatamente due livelli di utilizzo delle risorse cromatiche, riferite al prodotto e alla confezione.
Se si considera il prodotto, i problemi principali riguardano l’uniformità di colore tra lotti differenti e le variazioni cromatiche nel tempo. Per quel che riguarda invece l’imballaggio, bisogna assicurarsi una certa uniformità di colore sui diversi materiali che costituiscono i contenitori primari e secondari: non
è sempre facile riuscire ad ottenere esattamente lo stesso colore sul vetro, sul metallo, sulla plastica e sul cartone, materiali che caratterizzano le confezioni sempre più elaborate dei nuovi cosmetici. Questa difficoltà dipende principalmente dal fatto che il concetto di superficie va oltre il semplice colore
e fa riferimento non solo alla dimensione cromatica dell’oggetto, ma anche alle sue caratteristiche microstrutturali, che influenzano direttamente i processi di assorbimento e riflessione della luce. Basti pensare all’effetto ottico che si ottiene applicando la stessa tonalità di rosso alla carrozzeria lucida di
un’autovettura piuttosto che ad una tenda di velluto.
La stessa difficoltà si riscontra quando si vuole ottenere il medesimo effetto cromatico in forme cosmetiche diverse di una stessa linea (emulsioni, saponi solidi, shampoo...). I colori, sulle persone, non esercitano soltanto degli effetti ottici e percettivi,
ma anche psicologici, attraverso una serie di complessi meccanismi semantici che traslano dal piano genetico a quello socio-culturale. E’ risaputo, infatti, che i colori possono provocare diverse sensazioni, dall’euforia alla depressione, attraversando la scala completa delle emozioni. L’effetto psicologico più frequente legato alla percezione dei colori è
la sensazione “caldo-freddo” che viene associata rispettivamente alle diverse sfumature del rosso e del blu. Le dinamiche cromatiche sono in grado di modificare i nostri stati d’animo: ad esempio un blu associato ad un porpora può determinare una sensazione di solitudine e tristezza, mentre lo stesso porpora in un contesto giallo brillante evoca un senso di solennità. Il verde accostato al giallo richiama sentimenti di paura, mentre assume un carattere distensivo se avvicinato ad un blu pallido.
Questi sono solo alcuni esempi che testimoniano la complessità delle scienze che studiano l’utilizzo dei colori, come la cromatologia e i suoi campi di applicazione.

La teoria dei colori
La luce visibile dall’occhio umano ricopre una porzione ben determinata dello spettro elettromagnetico, che va da 400 a 750 nm di lunghezza d’onda, delimitando una regione compresa tra i
raggi ultravioletti (< 400 nm) e infrarossi (750-3000nm). Grazie alle scoperte di Newton, oggi sappiamo che un fascio di luce bianca che attraversa un prisma di vetro si scompone in una serie di raggi luminosi che vanno dal viola al rosso. Tuttavia, se si
vuole ricostituire il fascio di luce bianca originario, sono sufficienti tre colori: rosso, giallo e blu (colori fondamentali). Verso la fine del 1800 il medico e fisico inglese Young elaborò la teoria dei “tre colori primari”, secondo cui i tre colori fondamentali, combinati tra loro, sono in grado di determinare la visione dell’intero spettro. Partendo da queste osservazioni, Young ipotizzò l’esistenza di tre recettori diversi, appartenenti a tre classi di cellule a forma di cono (denominate coni), in grado di percepire i tre colori primari. La caratterizzazione biochimica dei tre fotocettori, avvenuta nel 1964, costituì la prova sperimentale della teoria di Young. La quantità di luce assorbita da ciascuna classe di coni viene tradotta in un impulso elettrico che, attraverso i nervi retinici, raggiunge il cervello, dove viene convertito nella sensazione finale che consente il riconoscimento del colore. Dal mescolamento dei tre colori primari si ottengono i “colori secondari”: il rosso e il giallo creano l’arancione, il giallo e il blu il verde, il rosso e il blu il viola. L’occhioumano non è in grado di distinguere se il colore percepito deriva da una sola radiazione monocromatica o dalla somma di più radiazioni. In generale
gli oggetti appaiono colorati a seconda del modo con cui essi interagiscono con la luce, in quanto la luce bianca può essere completamente riflessa (l’oggetto appare bianco), oppure completamente assorbita (l’oggetto risulta nero). In tutti gli altri
casi di riflessione o assorbimento parziale, il colore dell’oggetto dipende dalla sommatoria dei raggi restituiti. Il colore degli oggetti dipende anche dalle caratteristiche della luce, basta pensare alle variazioni cromatiche che si rilevano osservando uno
stesso oggetto illuminato da diverse fonti luminose (luce solare, ultravioletto, infrarosso...). L’industria del makeup deve prestare grande attenzione a questi fenomeni, per evitare le spiacevoli sorprese che si possono verificare utilizzando lo stesso prodotto di giorno all’aperto e di notte nei locali. Un altro fattore da tenere in grande considerazione è la visione foveale, che dipende dal fatto che nella retina la distribuzione dei recettori non è uniforme, pertanto lo stesso colore distribuito su superfici di diversa dimensione può risultare diverso. Per questo motivo,
la sensazione di colore di un’emulsione osservata in un miscelatore industriale può essere diversa da quella osservata in un piccolo contenitore.

La misurazione dei colori
Se si considera la concomitanza di tutti questi fenomeni, si capisce che chi elabora i coloranti deve conoscere a fondo le tecniche di misurazione dei colori. I parametri utilizzati per definire i colori sono: la luminosità, che indica la brillantezza e dipende dall’intensità del flusso luminoso, la tonalità, che descrive il colore e dipende dalla purezza della luce monocromatica dominante, e la saturazione, che si riferisce all’intensità del colore. Queste grandezze possono essere graficamente rappresentate nel Solido di Munsell, che assomiglia ad una sfera schiacciata ai poli in cui l’asse rappresenta la scala
di luminosità (dal nero al bianco procedendo verso l’alto), l’equatore la tonalità e il raggio è proporzionale alla saturazione. Per la misurazione dei colori esistono dei metodi matematici come lo Spazio C.I.E., che deriva da un progetto di ricerca realizzato nel 1931 dalla Commission International de l’Eclairage (CIE), che per la prima volta ha fissato dei valori numerici per quantificare la media delle risposte dell’occhio umano alle diverse lunghezze.
Questo metodo è piuttosto complesso ed utilizza le coordinate cartesiane attraverso dei principi di colorimetria additiva, basati sul calcolo di quanto colore primario deve essere aggiunto per raggiungere un determinato campione di colore. Uno dei problemi del diagramma CIE è che a uguali distanze geometriche non corrispondono uguali distante percettive, fenomeno che si traduce nella mancanza di uniformità del diagramma. Le moderne tecniche strumentali utilizzano gli spettrocolorimetri, che rilevano i colori effettuando delle scansioni dell’intero spettro visibile, oppure analizzano la luce in seguito al passaggio attraverso dei filtri colorati. I dati ottenuti sono espressi utilizzando i valori dello spettro di assorbimento o di trasmittanza, oppure nelle coordinate CIE. Il tintometro è uno strumento che utilizza la scala Lovibond, che si basa su una serie accuratamente calibrata di filtri di colore rosso, giallo e blu nelle varie sfumature dal pallido allo scuro: abbinando i vari filtri è possibile trovare la corrispondenza cromatica per tutti i campioni, valore che verrà espresso in termini di unità Lovibond.
La scala cromatica Lovibond è ampiamente utilizzata per i prodotti che trasmettono la luce (oli, sciroppi) o la riflettono (grassi, colle).

I coloranti nei cosmetici:
classificazioni e legislazione
Esistono diverse classificazioni dei coloranti, anche se la più comune fa riferimento alla loro solubilità e li suddivide in:
coloranti solubili: a loro volta divisi in naturali o sintetici, idrosolubili o liposolubili;
pigmenti: che possono essere inorganici, organici, lacche, perle e metalli.
I coloranti solubili sono molto usati nell’industria cosmetica ed alimentare (emulsioni, lozioni, shampoo, dentifrici) e sono aratterizzati da una buona solubilità che consente loro di impartire una colorazione visibile a piccole concentrazioni. I coloranti naturali sono i più antichi, possono essere ricavati
da fonti vegetali o animali e, pur essendo meno performanti dei derivati di sintesi, negli ultimi tempi sono tornati in auge. I coloranti sintetici sono più stabili ed economici e presentano un’ampia varietà di tonalità. I pigmenti agiscono modificando
i processi di riflessione della luce, sono insolubili nel mezzo utilizzato e possono essere dispersi in un solido o sospesi in un liquido, nella composizione di fondotinta, ciprie, ombretti, rossetti... A seconda della fonte di derivazione, i pigmenti si
dividono in:
inorganici: si tratta delle sostanze colorate più
utilizzate nel makeup, sono ottenuti per sintesi e
risultano stabili alla luce e al calore. Tra i principali
pigmenti appartenenti a questa categoria ricordiamo
il biossido di titanio, gli ossidi di ferro e di cromo,
il violetto di manganese, il ferrocianuro ferrico (noto
come Blu di Prussia);
organici: sono prodotti di sintesi che offrono
delle tonalità più luminose e sature rispetto ai pigmenti
inorganici, anche se le varietà cromatiche
sono limitate. Tra i pigmenti organici, il Nero Fumo
è molto utilizzato nei mascara;
lacche: sono dei pigmenti insolubili ottenuti
per precipitazione di un colorante solubile su un particolare substrato (idrossido di alluminio, oppure calcio o bario)
e lacche sono stabili e presentano dei
colori particolarmente brillanti;
perle: si tratta di cristalli in forma di sottili scaglie
che presentano elevato indice di rifrazione, e sono
in grado di determinare il tipico effetto perlescente.
Possono essere organiche (ricavate dalle squame di
alcuni pesci) o inorganiche (estratte da alcuni minerali
o prodotte per sintesi);
metalli: sono costituiti da particelle di metallo
(alluminio, rame, bronzo) ricoperte o meno da un sottile
strato di alluminio o silice. Sono molto apprezzati
per la brillantezza dell’effetto metallico, conseguenza
dell’elevato potere riflettente.
I coloranti agiscono assorbendo la radiazione luminosa in corrispondenza di una determinata lunghezza d’onda, in questo modo l’occhio umano percepisce il colore complementare alla lunghezza d’onda assorbita. La porzione molecolare del colorante che ne determina il colore è definita cromoforo. Inoltre esistono dei gruppi funzionali che, se inseriti nelle vicinanze del cromoforo, sono in grado di determinare uno spostamento della lunghezza d’onda assorbita, in alto o in basso nello spettro visibile (effetto auxotrofico o batocromico).
Analizzando la parte restante della molecola di colorante,
si osservano altri gruppi funzionali responsabili delle sue proprietà chimico-fisiche, come il pH e lasolubilità, fondamentali per garantire la durata nel tempo del colorante ed evitare l’interazione con altri ingredienti della formulazione. La perdita e la diminuzione del colore possono essere determinati dall’azione
della luce solare, del calore, dei microorganismi. Da un punto di vista chimico, a seconda dei cromofori, è possibile suddividere i coloranti in nitro-derivati, azoici, stilbenici, carotenoidi, trifenil-metanici, xantenici, chinolonici, antrachinonici, indigoidi, porfinirinici.I coloranti possiedono diversi nomi, chimici e comuni,
riferiti al colore, alla struttura chimica, alle caratteristiche
chimico-fisiche, per questo esiste un sistema di denominazione unificata che va sotto il nome di Colour Index (CI), pubblicato congiuntamente da Society of Dyers and Colourists (UK) e dalla American Association of Texile Chemists and Colorists (USA). Il
testo riporta circa 13.000 coloranti indicati attraverso un numero univoco composto da 5 cifre più una che indica se si tratta di sale o di lacca.

A seconda del CI, i coloranti sono suddivisi in 4 gruppi:
dal n° 10.000 al n° 74.999: coloranti organici di sintesi;
dal n° 75.000 al n° 75.999: coloranti organici naturali;
dal n° 76.000 al n° 76.999: basi a ossidazione e nitrocoloranti;
dal n° 77.000 al n° 77.999: pigmenti inorganici;

Esiste poi un sistema americano, abbastanza utilizzato in cosmetologia, che suddivide i coloranti a seconda del tipo di impiego:
FD&C: coloranti per uso alimentare, cosmetico e farmaceutico;
D&C: coloranti permessi soltanto nei farmaci e nei cosmetici;
Ext.D&C: coloranti permessi soltanto nei farmaci ad uso esterno e nei cosmetici, ad esclusione delle labbra e delle mucose.
Secondo questa classificazione, i coloranti sono contraddistinti da una di queste tre sigle, seguita dal colore in inglese e da un numero progressivo,ad esempio D&C Blue n° 4. I coloranti alimentari utilizzati nei paesi UE sono indicati da una sigla
comprendente la lettera E (caratteristica per tutti gli additivi alimentari) seguita da un numero compreso tra 100 e 199. Da un punto di vista legislativo, l’utilizzo dei coloranti è regolamentato dalla legge 713 del 1986 e dai successivi aggiornamenti. I coloranti che possono essere utilizzati in cosmetologia sono riportati nella parte seconda dell’allegato IV, che a sua volta identifica quattro possibili campi di applicazione per ogni colorante:

coloranti autorizzati per tutti i prodotti cosmetici;
coloranti autorizzati per tutti i prodotti cosmetici, eccettuati quelli destinati ad essere applicati vicino agli occhi ed in particolare i prodotti per il trucco e lo strucco degli occhi;
coloranti autorizzati esclusivamente per i prodotti cosmetici che non sono destinati a venire a contatto con le mucose;
coloranti autorizzati esclusivamente per i prodotti cosmetici destinati a venire solo brevemente a contatto con la pelle.
Da un punto di vista formulativo è preferibile utilizzare i coloranti nella fase esterna delle emulsioni, dopo averne verificata la compatibilità con gli altri ingredienti (soprattutto con i profumi e i conservanti) e la stabilità nelle condizioni di pH del prodotto finito. In alcuni casi è bene aggiungere degli antiossidanti che proteggano i coloranti da eventuali processi di degradazione ossidativa.
Considerando che i coloranti sono presenti in commercio in condizioni di concentrazione elevata, generalmente è necessario effettuare delle diluizioni poco tempo prima dell’uso. Le analisi dei coloranti si basano principalmente su tre parametri: il contenuto in colorante, la forza di colore e le impurezze.
Raramente un colorante è puro al 100%, in quanto contiene diversi tipi di impurezze, che nel caso dei coloranti di sintesi consistono in sali inorganici, acqua o intermedi di reazione, mentre nel caso dei coloranti naturali si tratta di altre sostanze estratte insieme al colorante e presenti nel materiale di partenza (cere, grassi...). Il contenuto in colorante può essere determinato per titolazione, per via ponderale o attraverso l’utilizzo di metodi strumentali spettrofotometrici. La forza di colore definisce il colore complessivo del prodotto, dovuto sia al colorante principale sia alle impurezze presenti, che possono essere a loro volta dei coloranti. La forza di colore può essere misurata
mediante tecniche manuali, che prevedono il confronto del campione con determinati standard, o strumentali, ad esempio attraverso il colorimetro.
La forza di colore ed il contenuto di colorante sono collegati tra loro, ma non necessariamente proporzionali. Per concludere, i coloranti rappresentano degli ingredienti fondamentali per l’industria alimentare, cosmetica e farmaceutica.